lunedì 17 novembre 2008

Pubblichiamo volentieri un'analisi dell'attuale crisi economica che ci ha inviato Guglielmo Forges Davanzati

Salari e crisi finanziaria

(dal Nuovo Quotidiano di Lecce )

La crisi finanziaria in atto sta a testimoniare che il capitalismo non è un sistema capace di autoregolarsi - in tal senso non è intelligente - e soprattutto che, per sua stessa natura, regge su profonde ingiustizie. E’ stato recentemente reso noto che, per la sola economia italiana, l’indebitamento delle imprese nei confronti del sistema bancario ammonta a circa 780 miliardi di euro; una cifra che è circa pari alla metà del nostro PIL. Si consideri anche che il dato – l’unico disponibile al momento sull’indebitamento delle imprese italiane – fa riferimento al primo semestre del 2008, è dunque precedente al ‘settembre nero’ della finanza internazionale e, soprattutto, che – dal 2000 – l’indebitamento in termini reali è quasi raddoppiato, con il massimo incremento, pari al 10%, nel 2007. E’ anche noto che l’indebitamento delle famiglie italiane è anch’esso cresciuto, e che di queste circa il 35% - come riferito dal Censis – è a rischio di insolvenza. Si può aggiungere – il che non è affatto irrilevante – che il tasso di variazione dei salari – come attestato dall’ISTAT - è sceso dal 2.9% del 2004 allo 0% dell’agosto 2008. La crisi finanziaria in atto è, dunque, il risultato di una distribuzione del reddito sfavorevole ai redditi più bassi o, in altri termini, è una crisi da sottoconsumo derivante da bassi salari.
A fronte di questa evidenza, appare piuttosto singolare il tentativo, da parte di molti autorevoli commentatori liberisti, di far discendere la crisi da ‘imperfezioni’ dei mercati: la scarsa ‘alfabetizzazione’ finanziaria dei consumatori indebitati o, più di recente, la scarsa fiducia fra istituti di credito. Non è di questo che si tratta. La sequenza che è alla base della crisi parte da una dinamica salariale al ribasso e passa per l’aumento dell’indebitamento delle famiglie - per far fronte appunto al ridotto potere d’acquisto – reso possibile da un’accentuata deregolamentazione dei mercati finanziari, a sua volta funzionale a tenere alta la domanda. E’ bene chiarire che, almeno per quanto riguarda l’Italia, non si è voluto tenere alta la domanda interna con il tradizionale strumento della spesa pubblica in disavanzo non tanto per ragioni ideologiche (l’antikeynesismo dominante dell’ultimo ventennio), e neppure – come propagandato – per il rispetto dei parametri di Maastricht (sulla cui assenza di validità scientifica si rinvia al sito http://www.appellodeglieconomisti.com/), ma soprattutto perché si è ritenuto che il principale problema dell’economia italiana dei primi anni duemila consisteva nel disavanzo dei conti esteri; così che l’aumento della domanda interna per il tramite della spesa pubblica in disavanzo avrebbe provocato aumento delle importazioni e ulteriore aggravamento del deficit della bilancia commerciale. La contrazione dei consumi, derivante dalla caduta dei salari reali, nonostante l’indebitamento privato, ha prodotto una duplice conseguenza: ha ridotto la quota dei profitti destinabile al rimborso dei debiti contratti dalle imprese nei confronti del sistema bancario e ha, al tempo stesso, generato crescenti difficoltà da parte delle famiglie con bassi redditi a restituire il debito. Non c’è da stupirsi se, in queste condizioni, le banche hanno reagito contraendo l’offerta di moneta e i prestiti interbancari (il cosiddetto credit crunch), con l’ovvio risultato di produrre riduzione della produzione e dell’occupazione. Mentre a giugno l’Ufficio studi di Confindustria stimava una crescita del PIL italiano intorno allo 0.6%, lo stesso Istituto ha recentemente rivisto la previsione, portandola – per il 2009 – a -0.5%. D’altra parte, la ‘tesaurizzazione’ bancaria è un fenomeno non nuovo nella storia del capitalismo, già osservato e analizzato da Marx.


Guglielmo Forges Davanzati

Nessun commento: