lunedì 16 marzo 2009

Solitaria rivolta di un'insegnante di storia
di Tony Tundo

Fare l'insegnante di storia: un mestiere che si costruisce giorno per giorno.
Ci ho creduto.
A che serve la storia? Quale storia insegnare?

Te le fai queste domande, ignorando le risposte preconfezionate che introducono i libri di testo, accattivanti e servilmente ossequiose dei programmi ministeriali. Se sei un insegnante appassionato te le fai e sperimenti l'inutilità

del tuo ruolo di mediatore tra storia-scienza e storia- disciplina.
Un tempo ormai lontano non si poneva neppure il problema, la formazione
culturale e scolastica erano segno di progresso e civiltà, di crisi neanche a parlarne.
A partire dalla riforma Berlinguer (1997) lo studio della disciplina,
dando sempre maggiore spazio al ‘900, ha accolto nel suo seno
storia economica e sociale, antropologia, sociologia, microstoria
con l’assunto, evidentemente, che tutte le storie hanno pari dignità e
decretando contemporaneamente la fine del primato della storia politica
e dell’impostazione marxista-economista.
Ne sono nate diatribe dotte e, francamente, sterili tra disciplinaristi
e pedagogisti ( contenuti o obiettivi?), si è rivalutata però
opportunamente la centralità dell’alunno e qua
è la vera sfida che non diminuisce affatto il ruolo
dell’insegnante, lo esalta viceversa. Non sei più custode di una scienza, di una cosa cristallizzata,
di un museo di memorie da stigmatizzare o celebrare, piuttosto un compagno che guida
gli alunni verso la scoperta del reale. Così quale storia insegnare diventa secondario,
contano piuttosto i percorsi, conta il viaggio più dell’approdo stesso.
Quando ti sei formato un bagaglio di conoscenze e di capacità,
ti assumi le tue responsabilità e scegli, didatticamente ma in piena libertà,
contro il soffocante, inconcludente e distante interventismo del Ministero,
contamini storiografie, espungi, sintetizzi anche a rischio di dissacrare,
tratti da un solo punto di vista, dai spazio alla fantasia
( perché non deve esserci nell’insegnamento della storia la fantasia?), alla provocazione.
L’efficacia, almeno sul piano emotivo, è garantita: ho visto la luce di umana curiosità in tanti
miei ragazzi e non ho conosciuto mai gratificazione maggiore, mai.
In breve questo è il mestiere dell’insegnante di storia,
così l’ ho vissuto io finora, pur soffocando un sentimento
che non comprendevo con la chiarezza di oggi.


La ragione dello smarrimento di oggi è, in breve sintesi, in queste parole di Marx:
“La storia di ogni società è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba,
membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi
sono stati sempre in contrasto fra di loro, hanno sostenuto
una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese;
una lotta che finì sempre o con una trasformazione
rivoluzionaria di tutta la società o con una rovina comune delle classi in lotta[…]
L’epoca nostra si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti fra le classi”.

Credo che tutto il mio lavoro di insegnante di storia abbia trovato sostegno in questo pensiero; ne hai bisogno, perché non è facile convincersi e convincere che la storia è magistra vitae, che forma nel cittadino il rispetto e l’amore per la patria quando devi muoverti tra i tiranni, la Chiesa onnivora, la violenza delle ragion di stato, i regimi totalitari, ma poi spuntano i Masaniello di ogni secolo, il popolo parigino delle barricate, quello dei vespri, le Olympe de Gouges, i cafoni dignitosi e testardi di Silone, gli operai di Pratolini che ti trasmettono la fierezza e l’orgoglio di guidare i giovani, perché rassicurano te e ti mettono nelle condizioni di dare ai ragazzi la fiducia e le certezze di cui hanno bisogno. E oggi? No, il popolo oggi è omologato a un modello dominante, la coscienza del popolo è formata dalla televisione, non è più tempo di rivolte (rischiamo di non poter scegliere lo sciopero...).

E’ un mestiere, quello dell’insegnante di storia, che si costruisce giorno per giorno. Ci ho creduto. Perché, si diceva, la storia aiuta a comprenderlo il mondo, ma come si insegna a comprendere se non c’è niente, oggi, da comprendere?