venerdì 6 marzo 2009

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Care amiche,
Oggi 8 marzo 2009 ricorre il centenario della Giornata Internazionale della Donna. Nelle vie delle vostre città troverete ammalianti inviti a vivere una serata indimenticabile in pizzerie o in pubs, con esilaranti spettacoli, finalmente, per sole donne. Agli angoli delle strade vi proporranno profumati piccoli mazzi di mimosa, che ricordano una primavera alle porte, nei casi più fortunati accompagnati da piccanti cioccolatini.. La mimosa, il fiore simbolo di questa festa, è una invenzione, come lo è la leggenda diffusa negli anni Sessanta, studiata sui banchi di scuola, che narra della fabbrica Cotton incendiata dal cattivo padrone, dopo aver rinchiuso le operaie in sciopero. Benchè verosimile, il fatto non ha realtà storica, invece si ha notizie accertate di una fabbrica, la Triangle, a New York dove nel 1911 morirono 148 lavoratori, uomini e donne. La Giornata Internazionale della Donna fu decisa prima, nel 1910, a Copenhagen, in una Casa del Popolo, dal Movimento operaio per porre l’attenzione sulla condizione delle lavoratrici. Non potevano prevedere che dopo cento anni dalla sua nascita l’otto marzo sarebbe diventata una festa da consumo, che le loro eredi avrebbero realizzato la propria emancipazione in un ballo di oche giulive, bambole dai grandi occhi e lunghe ciglia, strumento di seduzione per raggiungere antiche e moderne mete : matrimonio, apparizioni in TV, … Che assurda involuzione. Mercificazione del corpo femminile, festa consumistica, donna-contenitore, affermazioni di altri tempi, ma tristemente attuali. Donne imprigionate in ruoli e in maschere, oggetto di un processo di disumanizzazione , non più persone ma cose. E allora quel corpo può essere abusato, maltrattato, violato, ricordato in numerosi casi delineati da fredde statistiche. La chiamano la mattanza delle donne, e parla di padri, zii, nonni, ex-amanti, fidanzati, mariti, di coloro che amano ma violano e uccidono. Forse alle urla festanti, alla samsara di questo horror vacui, è il momento di sostituire un rispettoso silenzio, ricordare quelle donne riunite nella Casa del Popolo di Copenhagen. Le immagino con le loro gonne lunghe, le camicie bianche accollate e il cappellino, timide e caparbie, a chiedersi dei loro diritti di donne e di lavoratrici. Poi le vedo con quelle gonne diventate vertiginosamente corte, urlare per le strade slogan per rivendicare un nuovo ruolo sociale, uguali diritti giuridici, economici, morali, ma si finisce con l’omologarsi alla figura maschile, che diventa imperante. Sono gli anni di importanti vittorie, la legge sul divorzio, sull’aborto, sulle pari opportunità,… Eppure da queste femministe tenaci e arrabbiate è nata la stirpe delle veline. Perché? La giornalista Lipperini in Di nuovo dalla parte delle bambine, accusa un modello educativo incapace di rinnovarsi, anziché riproporre vecchie dinamiche di una diversa educazione rivolta alle bambine e ai bambini, che la sociologa Belotti aveva descritto nel suo Dalla parte delle bambine negli anni Settanta. Eccoci dunque allo specchio con nuovi dubbi e ancora molta strada da percorrere, ancora caparbie, a pensare a nuovi modi, a inventare un futuro che veda la donna semplicemente nella sua peculiare esperienza di essere umano. Buon 8 marzo 2009! Il nostro regalo per quest' 8 marzo è una poesia di Konstantinos Kavafis
"Quanto più puoi"
Farla non puoi, la vita, come vorresti?
Almeno questo tenta quanto più puoi:

non la svilire troppo nell’assiduo contatto della gente,
nell’assiduo gestire e nelle ciance.
Non la svilire a furia di recarla così sovente in giro,
e con l’esporla alla dissennatezza quotidiana di commerci e rapporti,
sin che divenga una straniera uggiosa.

Biblioteca di Sarajevo