A che servono i poeti
di Tony Tundo
Saba ha scritto una poesia epica, lirica e profetica:
Teatro degli Artigianelli
Falce martello e la stella d’Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno su quel muro!
Entra, sorretto dalle grucce, il Prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell’idea
che gli animi affratella; chiude: “E adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro”.
Tra un atto e l’altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l’amico
dell’uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.
Questo è il Teatro degli Artigianelli,
quale lo vide il poeta nel mille
novecentoquarantaquattro, un giorno
di Settembre, che a tratti
rombava ancora il cannone, e Firenze
taceva, assorta alle sue rovine
Saba si commosse assistendo, dopo la lunga orribile prigionia, ad una rappresentazione popolare, dentro la cornice di uno di quei teatrini suburbani sempre cari alla sua Musa, amante degli umili, «del popolo in cui muoio, onde son nato».
È una poesia "epica", dipinge un ambiente e narra quei fatti, quei momenti irripetibili; è lirica, puoi cogliere e fare tua l'intensità del canto del poeta che è dolorosa e amara; è profetica, fa il ritratto dell'attualità politica di questi giorni, c'è quasi tutto: grucce, ferite, rovine. Dice lo stesso Saba su questa poesia: gli italiani che leggono possono, nella loro maggioranza, per qualche tempo ancora ignorarla; ma verrà sicuramente il giorno nel quale la ricorderanno e la avranno cara.
L'ho cara e, da non so più quanti appuntamenti elettorali, le piazze della città, dove sono di scena i commenti sui risultati, appaiono ai miei occhi palchi d'avanspettacolo affollati di sedicenti primedonne e masse di figuranti; i candidati che incrocio, vincitori o vinti, tristi maschere nude come in un teatro di artigianelli; vittorie e sconfitte, capolavori assoluti di nonsense. Eppure so bene che evocare questi grandi versi serve a me, è un rifugio per me e per le persone come me, so bene che il parallelo è irriverente: nel '44 c'era illusione, ingenua onestà, fede nell'uomo; oggi neanche il sogno, neanche la nostalgia della democrazia son rimasti, l'idea che affratella, poi... Sappiamo tutti che questo sistema è perverso, che gli attori sono mestieranti e mercenari, che il trasformismo è la regola, che i dati sono truccati. Sappiamo proprio bene che non ci facciamo mancare niente, neanche che occupino gli stessi scranni, nel Parlamento europeo, giovani prestati dallo spettacolo alla politica e recidivi vecchi redivivi, intercettati e intercettatori...