Scuola senza futuro
di Tony Tundo
Il 3 ottobre scorso a Roma sono scesi in piazza i precari della scuola; la manifestazione, neanche a dirlo, è passata quasi del tutto inosservata, appena qualche trafiletto o neppure una riga sui giornali, nessun servizio nei tg. Era prevedibile che la mobilitazione svolgendosi insieme a quella per la libertà di stampa di maggiore, se non esclusivo, rilievo politico sarebbe stata ignorata; contro la stampa che non parla della scuola ci si doveva mobilitare, non con la stampa. Eppure lo stato della scuola non aveva mai raggiunto livelli tanto disastrosi. I tagli noti a tutti sono stati aggravati da una prassi che prende sempre più quota: quella di formare cattedre superiori alle 18 ore settimanali. E' un disegno preciso, non vi è dubbio, perché se i dirigenti scolastici riconducessero nell'ambito e nel limite delle diciotto ore obbligatorie le cattedre, un possibile argine alla crisi si potrebbe porre; si vocifera, invece, che ad alcuni dirigenti scolastici sia stato "consigliato" di non comunicare all'Ufficio scolastico provinciale le disponibilità residuate dopo la costituzione delle cattedre a 18 ore, offrendo spezzoni orari disponibili ai docenti di ruolo interni alla scuola. Se così fosse tale pratica risulterebbe assolutamente illegittima e non in regola con il contratto.
Eventuali attribuzioni di un numero di ore oltre le 18 potrebbe essere giustificato solo in fase di "restituzione" di ore alle scuole in seguito alla determinazione dell'organico di fatto e in ogni caso solo con il consenso dei docenti coinvolti. Naturalmente accettare ore eccedenti comporta la "soprannumerarietà" di altri colleghi anche di ruolo e chiude inesorabilmente ai precari; ma non solo, determina anche, in molti casi, il peggioramento della qualità dell'offerta formativa, visto che l' assegnazione "estemporanea" degli spezzoni orari per comporre le cattedre spesso interrompe la continuità didattica con danni che, evidentemente, non sono tenuti in nessun conto. Non accettare dà una speranza, poco denaro, ma punteggio e questo conta non poco.
Ma si sa: pecunia non olet, così ci vendiamo per trenta denari: ho fatto, da sola, una campagna di sensibilizzazione nella mia scuola perché nessuno di noi docenti di lettere di ruolo, già titolari di cattedra, accettasse uno spezzone di 5 ore di italiano e storia in una classe V; non ce l'ho fatta per un pelo. Probabilmente non si tratta di consapevole indifferenza o cinismo, probabilmente è solo superficialità: questo mi offrono questo prendo, modello gregge; è perciò meno grave?
Mi chiedo da tempo a chi giovino questa scuola malata e senza più passione, questi docenti demotivati, questa guerra tra poveri; la risposta ce l'ho ma voglio respingerla.
Mi ritorna alla memoria il buon senso di Renzo ne "I promessi sposi": quando, durante il tumulto di San Martino, la "marmaglia" si accanisce sui forni lui pronuncia un suo pensiero elementare ma altamente morale: "se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? ne' pozzi? "
Stanno distruggendo la scuola, ma senza la scuola, quale futuro? Quale giovane nell'immediato domani vorrà iscriversi a lettere, matematica, lingue straniere per fare l'insegnante. Nessuno. E' possibile che questa minaccia non spaventi? Eppure sarà così perché è un lavoro che non offre più alcuna gratificazione.
La scuola ha davvero le ore contate.