venerdì 13 novembre 2009

Come stravolgere la grammatica della fantasia poetica di Tony Tundo




Per Walt Whitman potrebbe nascere con una poesia letta dalla mamma, alla sera, la vocazione nel bambino/poeta.
Muore di certo al supermercato con la mamma, al mattino, la fantasia del poeta/bambino.

“C’era un bambino che usciva ogni giorno,
e il primo oggetto che osservava,
in quello si trasfondeva,
e quell’oggetto diventava parte di lui
per quel giorno o per parte del giorno
o per molti anni o vasti cicli di anni.
I primi lillà divennero parte del bambino
e l’erba e i convolvi bianchi e quelli rossi,
e il bianco e Il rosso trifoglio,
e il canto del saltimpalo, gli agnelli marzolini,
la rosea figliata della scrofa, il puledro
la chiassosa nidiata dell’aia
o del pantano vicino allo stagno
e i pesci così stranamente sospesi, e il bel liquido strano,
le piante acquatiche dalle graziosi cime piatte:
tutto questo divenne parte di lui.” ( da Foglie d'erba)


Può darsi che il mio sia davvero il favoloso mondo di Amélie e quel cartellone pubblicitario sopra (che ho fotografato a rischio tamponamento) mi abbia svegliata dall'incanto.
Siamo tutti, o quasi, carnivori impenitenti, ma qualche volta le parole sono i Killer della fantasia; non andava meglio qualcosa come carne equina?

Certe raffinatezze attengono forse all'estetologia che qualcuno mi suggerisce di frequentare, prima di discutere di poesia?