sabato 26 dicembre 2009

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Lettera dalla Mia Asmara di Manuela Micelli


Voglio sentire mia Asmara,voglio capirla perché ho voglia di amare di piùl'Italia, il mio paese, e voglio raccontare l'Africa che ho finora incontrato perché è un'esperienza "forte".
In Eritrea, la prima cosa che salta agli occhi è la guerra. La strada che collega l’aeroporto con Asmara è costellata di hangar delle Nazioni Unite, di stanza nel Paese come forza di pace. I segni della guerra sono ancora più visibili fuori della capitale: si vedono carri armati e cannoni abbandonati nei campi deserti che si alternano a montagne che nascondono mine e munizioni inesplose, nonostante gli impegni assunti dal governo per lo sminamento del territorio.
Muoversi da una città all'altra è impresa non facile, la prima volta che mi sono spostata da Keren per andare ad Asmara ci abbiamo messo delle ore, siamo stati fermati a più riprese
dai militari di guardia ad un checkpoint, è tutto normale (comprese furibonde risse tra autista e militari) come pagare senza motivo un pedaggio. Si attraversano villaggi con capanne che hanno il tetto di terra, frotte di bambini scalzi e mal vestiti ti corrono intorno, fanno festa intorno alla macchina. Lungo la strada statale greggi di muli, mucche e pecore.
Un fatto mi ha colpita: in un Paese come l'Eritrea dove la popolazione maschile vive in una sorta di perenne vigilia di guerra, con l’obbligo di servire nella leva obbligatoria per lunghi anni, dove molti sono quelli costretti ad abbandonare nei villaggi donne e bambini spesso destinati alla fame, per finire pazzi al fronte, o che muoiono sui campi minati al confine con l’Etiopia , in un paese dove non esiste davvero libertà di stampa, dove non ci sono libere elezioni, un paese poverissimo con gravissimi problemi di malnutrizione e AIDS, è molto facile incontrare eritrei che non condannano il colonialismo, almeno l’Italia -dicono-portò al paese sviluppo, progresso, benessere. L'Eritrea, allora, era un paese leader in Africa. In molte città, in tutte quelle che ho visitato ci sono lapidi che ricordano i soldati italiani, "immolatisi per la patria", nella battaglia del 1886. Ho incontrato molti nostalgici dei Savoia, d'altra parte gli italiani nella loro memoria si dividono in buoni (i monarchici) e cattivi (i fascisti).
Son qui per lavoro, ma ho scelto, per prima cosa, di conoscere un po' il luogo; ci è voluto parecchio tempo per trovare una sistemazione, realizzare la connessione internet con l'account di posta locale, ambientarmi un po', etc.. è il primo giorno che trascorro nella mia abitazione, sono in vacanza e devo stare in casa, in attesa che arrivi l'idraulico piuttosto che l'elettricista... già, anche quando una cosa pare sistemata, subito dopo qui si rompe e devi ricominciare daccapo. Fatica da Sisifo. Comunque oggi il pc almeno funziona, e posso scrivere.
Qui sono arrivata con molte paure, i primi giorni è stata davvero dura, l'altitudine ti procura disturbi strani (vertigini, mal di testa, senso di nausea, tachicardia) e non sai a che cosa esattamente attribuire tutto ciò, pensi sempre di esserti presa una brutta malattia tropicale, come a volte accade. Dicono che almeno una volta qui ci si ammala di qualche cosa, bisogna farsi gli anticorpi... comunque finora sono stata abbastanza bene, salvo una brutta tosse dovuta all'inquinamento da gas di scarico dei mezzi di trasporto e alla secchezza dell'aria. Finora ho trascorso due week end sulle isole Dalhak (piccole strisce di sabbia perse in mezzo ad un mare troppo ricco di plancton per essere trasparente come certi posti del mediterraneo, però ti danno la sensazione dell'assoluta immersione nella natura, perchè lì non c'è proprio niente di niente...e infatti dopo due-tre giorni al massimo devi ritornare sulla terraferma, a Massawa, calda e afosa, che forse un tempo aveva un suo fascino, ma attualmente è in stato di degrado, con ancora i segni dei bombardamenti effettuati sui palazzi di Selassiè, nessuna speranza di trovare un bagno accettabile, neppure negli alberghi piu' cari... insomma è Africa). Lo stare in gruppo qui è d'obbligo, ci si cerca per non sentirsi sperduti, e questo ha i suoi lati piacevoli, quasi un forzato ritorno all'adolescenza, ti libera di tutti i pensieri, anche se non riesci poi a stare tanto con te stessa. Non saprei dire se la cosa mi piace oppure no, sono ancora un po' frastornata e mi lascio trascinare dalla corrente....i pensieri perciò ruotano intorno a bisogni pratici, oppure se ne stanno un po' lontani. Quanto alla musica, non ho avuto il tempo di occuparmene. Per ora ho scoperto che c'è un flautista così così, un'oboista pare brava, una violinista discreta ... e un coro senza direttore... appena possibile ci troveremo per fare qualcosa, la musica orientale sarà una scoperta per me, ma prima devo sistemarmi un po'. Qui ad Asmara la cosa piu' sensazionale sono i colori e la luce, abbagliante durante il giorno, poi improvvisamente la notte che ti piomba addosso intorno alle sei di sera, un buio come da noi non te lo immagini, anche le strade sono per lo piu' prive di illuminazione, quando sono le 10 di sera di solito sei già a letto, e ti svegli il mattino dopo tra le sei e le sette, con il sole che fa rapidamente salire la temperatura (calata di notte a 9 - 10 gradi) fino ai 25/28 gradi. La strada da casa a scuola è breve, circa trecento metri, tra case con giardini da cui spuntano qua e là bouganville e jacarande in fiore, che allietano il cammino. La scuola è organizzata in modo assai simile al nostro, solo mancano attrezzature di qualsiasi tipo, i locali sono fatiscenti, i pochi libri di testo in circolazione di anno in anno vengono prestati agli studenti, che poi li restituiscono a fine corso. Si tratta pero' di materiali vecchi e pressochè inservibili, percio' tra colleghi ci stiamo organizzando per farne noi di nuovi, adatti alle esigenze locali ( es: un po' di storia africana /mondiale , piuttosto che la vetusta vicenda di casa nostra...mi dite voi che puo' importare ai ragazzi/e di qui sapere del nostro Risorgimento e di Garibaldi?!?...cose da pazzi....) Gli studenti sono in buona parte eritrei, mediamente simpatici, educati, talvolta perfino desiderosi di imparare....(!) In generale la gente è disponibile, semplice e di buon cuore; povera ma dignitosa, e i bimbi, spesso cresciuti in strada, riescono a ridere e divertirsi con niente.... Le cose piu' drammatiche che ho visto finora sono il Caravanserraglio qui in città (una specie di porta dell'inferno che si apre su una vasta zona di miserrimi capannoni in cui si ricicla incredibilmente di tutto, plastica, ferri vecchi, vecchi mobili in legno ormai a pezzi...) e i quartieri di baracche in legno o lamiera abitati dai piu' poveri dei poveri (i somali immigrati in Eritrea) giu' a Massawa. Beh, è un'esperienza "forte", ti dà la misura delle "differenze" tra noi umani su questa terra.... e ripensi le notizie fresche di giornata dei fatti di casa nostra, le bagarres sulla libertà di stampa, il clima politico avvelenato, la deriva democratica; forse un periodo in Africa per tutti...