Bandido bom è o bandido morto.
Il delinquente buono è il delinquente morto
di Lucia Lisi
Hanno ucciso un uomo a un angolo di strada,
nessuno l´ha difeso e l´han portato via...
E sento una voce, una voce che mi chiama,
ma sto seduto inerte, la mano nella mano...
(trad. da Joan Baez)
Mi ha scritto Paolo, un mio amico, dal Brasile e mi ha detto:
Hanno ucciso Carlos, il lorinho (il biondino). Aveva 17 anni. È quasi certo che sia stata la polizia.
Lo conoscevo da piú di 4 anni. Molti italiani lo hanno conosciuto quando era menino de rua. Eravamo riusciti a farlo tornare a casa. Veniva ogni tanto a lavarmi la macchina. Purtroppo ha continuato a usare droghe ed è caduto nel crak. Rubava, e per questo era stato due volte nel carcere minorile. La polizia lo ha anche picchiato, ma lui continuava come prima. Poi ha fatto un errore che è risultato fatale: ha rubato in casa della sorella di un poliziotto e qualcuno deve averlo visto. Un trapano, una sega circolare, un motore forse di una moto. Cose di non molto valore. Chi tocca un poliziotto, qui, paga con la vita. Sabato mattina sono arrivati due uomini, su di una moto senza targa. La sorella di Carlos ha gridato ed è scappata; Carlos, che era in casa, o non ha fatto in tempo o non ha voluto. Gli hanno sparato 10 colpi a bruciapelo. I familiari hanno paura e non intendono denunciare il poliziotto sospetto. Ci vorrebbero delle prove, bisognerebbe riconoscere i colpevoli... Puó anche darsi che a uccidere Carlos siano stati due colleghi, per fargli un favore (da restituire quando si presenterá l´occasione)...
Mi raccontavano che in un quartiere dall´altra parte di Goiânia, un sergente della polizia ha ucciso una cinquantina di piccoli delinquenti (secondo quello che dicono gli abitanti di quel quartiere). Un giorno é stato visto entrare in un supermercato solo e disarmato; un giovane che lui aveva minacciato di morte lo ha fatto fuori. I colleghi, per vendicare il loro sergente, hanno ucciso un'altra quindicina di persone e dicono che, per terminare l´opera, ne manca ancora una decina...
I poliziotti, in generale, sono molto duri. Dicono: Bandido bom è o bandido morto. Il delinquente buono è il delinquente morto. Non c'è speranza di recupero, di redenzione: chi uccide un delinquente (che sia ladro, spacciatore, bandito, non fa differenza) fa un servizio alla societá.
E pensare che Goiânia è una cittá abbastanza tranquilla...: Comunque siamo in Brasile: il tasso annuo di omicidi ogni 100.000 persone in Italia è di 2, in Brasile è di 28, a Rio de Janeiro è 50.
In questo paese cosí ricco di fede e di accoglienza alla vita, c'è anche una forte cultura di morte e di omertá.
Tornando a Carlos, ci sono anche altre ipotesi investigative.
Suo cugino mi ha detto che Carlos gli aveva confidato di aver picchiato il figlio di un poliziotto, ma non ha fatto il nome del poliziotto, né ha raccontato dove e come è successo.
Lo stesso cugino mi ha anche detto che un piccolo commerciante del quartiere, a cui Carlos aveva rubato varie volte, certo Daví, gli aveva promesso che gliel'avrebbe fatta pagare.
Infine, è probabile che Carlos avesse qualche debito nel mondo della droga. E anche gli spacciatori non perdonano.
Mi hanno chiamato Lucia, il mio cognome è Lisi, sono nata a Galatina (Le) il 17 Ottobre del 1950 e dal 1971 vivo in Parma, città dove ho avuto la possibilità, grazie al supporto della mia grande famiglia, di “crescere” e di far lievitare il mio spirito libero.
Negli ultimi 11 anni ho avuto l’opportunità di condividere con presbiteri cattolici italiani e/o autoctoni esperienze in “terra di missione” (Africa, Albania, Perù, Brasile, e con alcuni amici parmigiani, creando la Banca del tempo, i borghi dell’Oltretorrente di Parma) e di conoscere persone con tratti somatici, idiomi linguistici, tradizioni, costumi, religioni diversi, ma paradossalmente uguali, poiché rappresentanti di un mondo monocolore sul quale imperversa l’INgiustizia. INgiustizia che digito volutamente con l 'IN privativo in grassetto maiuscolo e giustizia in corsivo minuscolo per sottolineare lo sforzo di una miriade di punti fermi, neri che convogliano le loro forze per scrivere a caratteri cubitali il termine sia per renderlo più visibile che per rafforzare la sua accezione semantica.
INgiustizia, una parola difficile anche da pronunciare poiché in quell’IN, che richiede una fonazione linguale e dentale piuttosto impegnativa, sono racchiusi, come ci testimoniano i documenti storici diretti e indiretti, gli effetti negativi scaturiti da alcune soluzioni che degli uomini hanno dato, nel tempo, ai loro problemi. Scelte egoistiche perché finalizzate alla supremazia economica, scelte, a volte, estreme, poiché operate con fredda determinazione e lasciate passare come un atto dovuto verso chi non avesse gli strumenti per progredire, per migliorare il suo status, la sua cultura.
La storia, essendo una scienza e non una disciplina come molti preferiscono definirla, ci insegna con i suoi eventi e fatti, verificati e verificabili, come evitare di ripetere gli errori del passato e invece l’uomo di oggi, confidando sulle sue conoscenze, capacità e abilità gestionali crede di non aver nulla da apprendere , si sente menager trainer del profitto e crede di poter gestire il mondo e la natura a suo piacimento. Le sfaccettature del suo egoismo innalzano, giorno dopo giorno, il muro del divario socio-economico tra il nord e il sud del mondo, un muro che preferisco immaginare edificato con tufi leccesi, pronti a sgretolarsi sotto le pressioni esercitate da chi, pur vivendo una situazione di vantaggio economico e socio-culturale, è disposto a mettersi in gioco, a credere in un domani migliore, a sperare.
Azioni concrete che ho appreso e sperimentato lavorando con i missionari, i primi a riconoscere gli errori compiuti dai loro predecessori nel “civilizzare” e “convertire” gli altri, a mettersi in discussione, a recitare il loro mea culpa scendendo in prima linea al fianco di chi lotta per il riconoscimento dei propri diritti. Azioni, dicevo, che ho fatto mie e che continuo a sperimentare nel mio viaggiare inteso come opportunità per scoprire gli altri e per imparare dal “resto” del mondo, il mondo degli esclusi, di coloro che non hanno voce e che, nello specifico, identifico con la morte di Carlos, epilogo quasi inevitabile per chi come lui è un menino na rua (si definiscono meninos na rua coloro che vivono sempre in strada, mente meninos da rua, color che sul fare della sera ritornano a casa).
Per chi come Carlos vive in strada è scontato morire a 17 anni per mano di qualcuno che sceglie di esercitare la giustizia da solo, atto consentito in diverse parti del mondo.
I meninos sono meno che nulla pertanto è preferibile eliminarli. Lo sanno loro, lo sostiene Paolo nella mail asserendo:“I poliziotti, in generale, sono molto duri. Dicono: Bandido bom è o bandido morto. Il delinquente buono è il delinquente morto. Non c´è speranza di recupero, di redenzione: chi uccide un delinquente (che sia ladro, spacciatore, bandito, non fa differenza) fa un servizio alla societá. “, lo confermo io in quanto testimone oculare di tantissimi atti di violenza, non ultimo quello di una menina quattordicenne, Patricia, che mentre dormiva in strada di notte, divenne oggetto di desiderio di un distinto signore pronto a violentarla, se due suoi amici: Rosineide e Jonathan, non avessero bloccato l’uomo.
Ricordo con orrore: volarono schiaffi, pugni, fino a quando non intervenne una pattuglia della polizia, che è sempre in servizio nei luoghi dove sono soliti sostare i meninos.
Il "signore distinto" ebbe la possibilità di parlare, sostenne la tesi di essere stato aggredito per furto e fu creduto, i ragazzi invece non ebbero il tempo di spiegare…
Furono ammanettati, picchiati, trasportati in galera e condannati per tentata rapina.
Il "signore distinto", incensurato, fu soccorso e libero di continuare a poter rivolgere le sue attenzioni a qualche menina adolescente, certo di poter sempre prevaricare su chi non viene considerato una persona, bensì un parassita della società.
Prima di concludere vorrei ricordare un altro episodio di violenza gratuita, di cui in quella terra, che malgrado tutto amo, sono stata testimone, avvenuto per altri motivi in una feira, mercatini rionali serali, in un quartiere periferico di Goiania, Jardim das Oliveiras, dove vivono e lavorano i miei amici Corra e Paolo (don Corrado Vitali è presbitero di Parma; Paolo Finardi è ingegnere, missionario laico), e dove ho prestato servizio per tre mesi.
Era una sera di agosto e mentre con alcuni amici ero intenta a mangiare una porzione di pamoja (farina di granturco cotta a vapore avvolta in una foglia della stessa pianta, condita o con del ragù, o con del formaggio o insaporita con dello zucchero), assistetti all’arresto di un ragazzo.
Aveva appena posteggiato la sua moto, quando fu avvicinato da due poliziotti per un controllo di routine. Il giovane frugò nelle tasche del suo giubbino, dei jeans, della moto, ma non trovò i documenti di riconoscimento, non ebbe però il tempo di dire che li aveva dimenticati a casa (e li aveva dimenticati, i genitori li portarono al posto di polizia , ma solo il giorno dopo poterono), perché un poliziotto lo colpì con un colpo di manganello e lo costrinse a mettersi in ginocchio e portare le mani dietro la schiena.
Venne ammanettato e poi spinto a calci nel bagagliaio dell’auto di servizio della polizia, dove fu ripetutamente picchiato a sangue con un'arma speciale, il suo casco da motociclista, poi l’auto partì a sirene spiegate e il portabagagli, lasciato aperto per non far soffocare l’ospite, completò il pestaggio, ricadendo ripetutamente sul capo del malcapitato.
Fra tanti che assistettero a quel pestaggio, nessuno intervenne poiché tutti sanno che la polizia in Brasile ha sempre ragione!
Io no, non sapevo, ero ancora neofita, fui colta da un moto di ribellione, mi alzai in piedi pronta a raggiungere la stazione di polizia di Jardim das oliveiras perché mi si spiegasse questo strano iter diverso per verificare l’esistenza di un documento, mi fermò Giordana, che in modo cortese, ma lapidario e risoluto mi disse: - Lu' siamo in Brasile!-.
Seppi poi che la mattina seguente era stato liberato.
Ho sempre dinanzi agli occhi la scena di quel pestaggio: il casco utilizzato come guantone da box, un ciuffo di capelli come tirante per sollevare il capo e offrire il volto come bersaglio, il portellone del portabagagli come terapia di mantenimento e una notte al fresco per sedimentare il concetto che il più forte ha sempre ragione.
Mi auguro che quel ragazzo utilizzi questa esperienza per vivere le tumefazioni e le sofferenze fisiche e morali non solo come atti della violenza gratuita subita, bensì come possibilità per uscire dal silenzio dei deboli e cercare in associazioni, gruppi, movimenti, già presenti e diffusi in tante città brasiliane, l’opportunità di aggregarsi ad altre persone disposte a difendere coloro che come lui sono state, sono o potrebbero diventare vittime di soprusi e violenze.
Lottare per un mondo più giusto è dovere di ogni uomo, ma fino a quando vi sarà qualcuno che giustificherà le forme di xenofobia, che propaganderà la pulizia etnica ad oltranza, che raderebbe al suolo con le ruspe le favelas , che vivrà come un evento fortunato la morte di tante persone a causa di calamità naturali o di guerre fomentate da chi tutela i propri interessi economici, non verranno mai rispettati i diritti umani.
Eppure se ci fermassimo ad ascoltare le voci di coloro che non hanno voce, e in questo caso potremmo individuarle nell’ambiente dei meninos, ci accorgeremmo che proprio da loro ci giunge un monito a rivedere le nostre certezze per intraprendere nuove direttrici finalizzate al riscatto degli ultimi.
La reazione a caldo che manifestano ogni qualvolta qualcuno di loro viene ucciso o muore per droga, è una vera condanna per chi riesce a percepire, a sentire la loro paura, il loro dolore, la certezza che prima o poi potranno cadere per mano ignota. Creano, infatti, un sodalizio speciale, per ore si affannano a valutare l’accaduto, fanno congetture, programmano rivendicazioni, ma poi, consapevoli del loro stadio di excluidos , impossibilitati a parlare e/o ad essere ascoltati, tornano a drogarsi, a rubare per "farsi" e per mangiare, a vivere la strada come unica possibilità per sentirsi vivi, per dimenticare il passato che li ha resi dei diversi.
Sui marciapiedi di molte città del mondo, infatti, tutti possono fissare la loro residenza, certi di essere accettati poiché nessuno di loro ha un passato diverso da raccontare e un futuro migliore in cui sperare e, sicuramente, non per loro libera scelta!
Rosineide, Jonathan, Marcos, Patricia, Federigo e tanti altri adolescenti fanno parte del gran popolo dos excluidos, ma saranno poi loro i veri esclusi o noi che ci isoliamo nel nostro star bene, alimentando i divari sociali ed economici con scelte operate solo in funzione del profitto?
E se procurassimo dei nuovi sostenitori dei boicottaggi mirati, dei gruppi impegnati per un’altra giustizia sociale, del microcredito, dell’acquisto di prodotti alimentari provenienti dalle terre sottratte alla mafia o del mercato equo e solidale, qualcosa potrebbe cambiare nel sistema economico mondiale.
Per i più saremmo sognatori e idealisti, ma per altri potremmo essere letti come difensori dei diritti umani e pertanto potrebbero rivedere il loro modo di vivere e collaborare nello scrivere con punti fermi multicolori e indelebili:
LA DIVERSITA’ NON GENERA DIFFERENZE, MA UN GRIDO DI SPERANZA FORIERO DI GIUSTIZIA