Famiglie a un bivio terribile: la malattia o la fame
di Tony Tundo
Se quindici anni fa andavi in visita a Maglie (città nativa di Aldo Moro), dovevi essere affascinato dalle splendide chiese romane del ‘500 e il viaggio nella memoria continuava nel suo Museo Civico di Paleontologia e Paletnologia, fra le testimonianze delle antichissime civiltà che hanno popolato la terra salentina; né potevi restare indifferente ai tanti monumenti in Barocco Leccese, in stile Liberty o neoclassico costruiti nella nostra tradizionale pietra leccese, segni forti di innato e profondo amore per il bello, l’arte e la cultura. Io ne ho subito sempre il fascino, ritornandoci mi incanta ancora il centro storico che la pietra leccese rende luminoso ( la stessa magica luce di Otranto che Roberto Cotroneo ha saputo raccontare in un bellissimo romanzo); non ci sono altre cittadine così affascinanti nel Salento.
Se, in questi ultimi anni, ti è capitato di andare in visita a Maglie, hai certamente avuto voglia di scappartene prima possibile per il fetore che ammorbava l’aria e offendeva l’antica bellezza: proveniva da un inceneritore di sansa, la Copersalento.
Breve storia della Copersalento
L'originaria società (Ol.Sa.) apparteneva anche alla famiglia Fitto. I soci sono tre: la metà delle quote sono in mano ai titolari (liguri) dell'allora famoso olio «Sasso », il 25% ai Fitto, l'ultimo quarto ad un'altra famiglia di Maglie. La ditta si occupa di produzione di olio di sansa e relativo raffinamento. Nell'81 la gestione (ma non la proprietà completa degli immobili) passa all'Agrisud: si tratta di un ente strumentale dell'Ersap, l'ente di sviluppo agricolo della Regione, poi liquidato e tuttora in liquidazione.
Agrisud gestisce fino all'88, in seguito nella guida dello stabilimento subentra la Copersalento. Quattro i soci: l'Ersap (di cui si è detto), la Coprol Coop (consorzio provinciale di produttori olivicoli), la famiglia Rampino (salentina), la famiglia Capurro (ligure di Rapallo). L'Ersap esce dalla compagine societaria nel '91 e la gestione rimane nelle mani delle parti private. «Nulla cambia - ricorda Antonio Fitto, sindaco di Maglie e zio di Raffaele - nell'attività dello stabilimento fino alla fine dei Novanta. In quegli anni avviene, per così dire, il mutamento dell'azienda».
Comincia la produzione di energia elettrica: per i primi anni l'azienda utilizza l'incenerimento della sansa (il residuo della spremitura delle olive). Poi passa ad utilizzare altri materiali. Negli anni Duemila (mentre Raffaele Fitto è presidente della Regione e si procede nella liquidazione dell'Ersap) si trasferisce alla Copersalento la proprietà di alcuni immobili che erano nel frattempo finiti nel patrimonio dell'Ente agricolo. Sul prezzo si scatenano polemiche politiche e vengono presentate varie interrogazioni consiliari. Polemiche a parte (che appartengono ad un altro versante della storia), sta di fatto che «nel 2003 - ricorda il sindaco - rimane nella compagine la sola famiglia Capurro e comincia la produzione di energia anche con l'uso del Cdr». Ossia combustibile da rifiuti.
L'attività prosegue, tra alti e bassi, fino all'aprile del 2008 quando «la Provincia rileva che i livelli di diossina hanno superato il limite consentito, ossia quelli previsti dalla procedura semplificata del decreto Ronchi». A luglio di quell'anno - riepiloga Antonio Fitto - la Copersalento abbandona l'uso del Cdr e «comincia ad utilizzare, assieme alla sansa disoleata, anche il cippato di legno ». Si tratta di residui della potatura degli alberi. L'azienda passa ancora di mano di lì a poco, nel novembre del 2008. Subentra nella proprietà la società ECC di Cremona.
da http://www.peacelink.it/
Dopo mesi e forse anni di battaglie per fermare la centrale di malattia e morte, nell’ottobre scorso l’impianto è stato definitivamente chiuso per l'alta emissione di diossina, d'accordo Arpa, Procura, Sindaco, Prefettura; si credeva di aver vinto la prima fase, dopo avrebbero provveduto le istituzioni a non trascurare le famiglie degli operai, i più esposti ai veleni della fabbrica, ma che campavano sul lavoro del sansificio. Non è successo niente: né lavoro né cassa integrazione. E’ dunque vero: occorre occupare le sale consiliari del comune, salire sui tetti, arrivare a gesti disperati, come ha fatto, solo ieri, un operaio di Galatina che si è dato fuoco a Bergamo: aveva perso il lavoro; aveva 35 anni, è tornata in paese solo la sua salma.
In che tempi siamo? Quale prezzo si deve pagare per un diritto? Quanti lavoratori ancora dovranno trovarsi di fronte a un estremo bivio: morire di cancro o morire di fame?