La scuola. Cos'era, cos'è.
di Tony Tundo
Si legge in -Il lavoro culturale - di Luciano Bianciardi (Era il 1957, ma poco è cambiato)
[...]Era ogni anno la stessa storia. Uomini di quarant’anni, con moglie e figli grandi, non erano ancora entrati di ruolo, anche perché il ministero bandiva i concorsi ad ogni morte di papa, ed offriva settecento posti per ventimila candidati [...]. “Una sorta di bracciantato intellettuale”, disse solennemente un professore venuto apposta da Roma, un uomo piccolo con gli occhiali e la testa pelata. “Oggi l’insegnante in nulla, se non nella diversa prestazione d’opera, differisce dal bracciante che il latifondista ingaggia per le faccende stagionali”[...]
Il precariato è dunque una malattia endemica che ha trovato nella scuola il suo terreno di coltura più adatto a favorirne la sporificazione, perché agli insegnanti manca il giusto scatto d'orgoglio, mancano dignità e autonomia intellettuale per contrastare il male, al contrario sono davvero sempre meno quelli che non si adattano all'esistente.
“La riunione si sciolse, ma rimanemmo ancora a chiacchierare con gli insegnanti. Si lamentavano dello stipendio troppo scarso, dei programmi pesanti, degli alunni che non avevano voglia di far niente." [...]
Ritratto fedele di una sala dei professori oggi: gli insegnanti manifestano sintomi di uno stato di nevrosi ossessiva e cronica, mugugnano, firmano, ormai indifferenti e rassegnati, centinaia di circolari ministeriali scritte in un linguaggio a dir poco astratto che denuncia con evidenza anche penosa l'estraneità di chi le partorisce alla realtà della scuola. Indifferenti e rassegnati non tutti: ci sono quelli che cavalcano, e come, le opportunità che la scuola-azienda offre; ed è questo che dà il colpo mortale alla scuola.
“Creda a me,” diceva il professor Benedetti, “oggi c’è troppa gente che va a scuola. Il guaio è tutto lì” [...]
E questo è il tema più delicato. Nessuno oggi sarebbe capace di ammettere che la scuola includente - scuola dell'obbligo, decreti delegati ecc.- ha fallito, non sarebbe politically correct. Così tutti diciamo "i ragazzi non hanno voglia di fare niente" e pensiamo, con un vago senso di colpa, "questi ragazzi dovrebbero andare a imparare un mestiere" Non lo diciamo, non è democratico. E' la verità, però! Pasolini, già nel '75, osservava "la scuola dell'obbligo può solo creare un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o sottoproletario libero - cioé appartenente a un'altra cultura, che lo lascia vergine a capire cose reali-" Una voce scomoda, messa a tacere come sappiamo (o pensiamo...)
Da "Cento chiodi" di Ermanno Olmi
Teatrale? Scenografico? A me non sembra. Le scuole maneggiano un mare di denaro. Lo sanno i precari? Lo sanno gli ultimi romantici tra gli insegnanti? Non sempre, non fino in fondo, perché spesso è solo uno sparuto numero del corpo docente - il gruppo di lavoro (?)- a organizzare in semiclandestinità corsi e progetti -per fruitori raccattati come capita, talora anche virtuali purché il progetto parta - senza alcuna concreta utilità per gli alunni, ignari complici del sistema, numeri .
Si scrive AUTONOMIA, si legge OLIGARCHIA; si scrive SCUOLA AZIENDA, si legge MERCIFICAZIONE.
E' utile una lettura del testo della legge 440/97- Istituzione del Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi ( la crisi di oggi ha origine qui)
http://www.fnada.it/norme/OLD/l440-97.htm