martedì 30 novembre 2010

Mario Monicelli: un borghese grande grande. L'ultimo ciak

di Tony Tundo

Ricordo un’intervista a Mario Monicelli, pochi mesi fa, ci ho pensato tante volte negli ultimi tempi. Fece un’analisi spietata, asciutta e coraggiosissima dei motivi della crisi italiana, disse - più o meno - questo: il nostro Paese non ha avuto una rivoluzione, da qui il permanere di questo stato di cinismo e individualismo che è il profilo dell’italiano medio. L’Italia – diceva spesso Monicelli – è un paese di corrotti, corruttori e voltagabbana; cosa c’è in Italia? Niente! Non c’è democrazia, dov’è il governo del popolo? Non c’è monarchia. Non c’è aristocrazia. Le altre nazioni europee hanno avuto la loro catarsi, noi abbiamo perduto le nostre occasioni: il Risorgimento; la Resistenza “liquidata” come Guerra di liberazione e non vista come quello che fu: una vera guerra civile fra fascisti e antifascisti. Dissacratore e scontroso - di una grazia scontrosa - se tracciò mirabilmente la “commedia umana” dosando comicità, amarezza e riflessione lo poté fare – io credo – perché possedeva quella lucida umanità dei grandi che è, insieme, sofferenza e solitudine e può arrivare alla disperazione quando il mestiere di vivere non si tollera più (succede ed è successo con tanti, ma io penso in questo momento a Pavese, a Camus). Poi per un grande uomo, probabilmente, avvertire la vecchiaia, l'abbandono deve essere inaccettabile, senectus ipsa morbus est.
Considerare i suoi film solo comici, sarebbe fargli un grande torto; non lo è la serie di “Amici miei”, storie assolutamente esilaranti ma di perdenti. Non lo è un altro, il più drammatico: "Un borghese piccolo piccolo" dove non può non riconoscersi una condanna del paese in cui – come non vedere l’oggi? – la pratica della raccomandazione diventa costume nazionale e il sistema è invischiato in una stretta rete di caste, fertile terreno di rabbia e vendetta. Una vita per il cinema e se n’è andato coraggioso fino all’ultimo e coerente, lui che non amava la retorica delle commemorazioni; ieri in scena l’ultimo ciak:
“Mi dispiace, ma io so' io e voi non siete un cazzo!”