giovedì 16 dicembre 2010



Morire di freddo nella città surriscaldata di Tony Tundo

Certe cose sono veramente al limite del criminale: a dicembre nelle nostre città il riscaldamento negli uffici pubblici supera i limiti consentiti e negli appartamenti, in particolare quelli con il riscaldamento centralizzato - il maggior numero -, si è costretti a tenere finestre spalancate anche per motivi di salute (le chiamano le case-forno). Danni economici, danni alla salute, diritti di tutti calpestati, denunce da soggetti privati e associazioni consumatori e tutto si ripete ogni inverno. Una sorta di mistero, in tempi di austerity. Sarebbe una delle tante stranezze italiane, invece è molto di più, una vergogna per un paese civile, perché non è accettabile che a un metro da questi uffici, sul marciapiede di questi palazzi-forno un senza tetto, un clochard, muoia di freddo. E accade anche a Milano, dove si stanno spendendo fiumi di denaro per l’expo 2015 e non si investe, evidentemente, in politiche di welfare.
Tettamanzi ha ricordato qualche giorno fa ai milanesi: a nessun terreno il seminatore nega il buon seme; non lo nega al terreno soffocato dai rovi, cioè la città gravata da forme di disumanizzazione – povertà, malattia, disagio – che impediscono all’umanità buona di fiorire. Una voce nel deserto metropolitano!
Per tutti i senza tetto lasciati a morire di freddo a un passo dal civile mondo surriscaldato, qualche verso di Totò (erano, però, gli anni ’50):
'E pezziente
All'angolo 'e via Chiaia
se mette nu pezziente
'e puosto tutt' 'e juorne,
e nun accocchie niente.
Pulito, dignitoso,
nu stenne maie na mana;
ll'uocchie 'nchiuvate 'nterra
pe na jurnata sana.
stanotte è muorto 'e famme,
povero e dignitoso.