Daniel Varujan. Poesia di carne e sangue
di Tony Tundo
di Tony Tundo
Quando dubitiamo del senso della poesia, proviamo ad ascoltare le parole dei poeti, è nel loro canto l’ identità della poesia. E la dolcezza e il furore del canto li senti nelle poesie di un poeta armeno Daniel Varujan, ucciso dai Giovani Turchi nel 1915 nel Genocidio degli Armeni. Nello stesso anno Varujan aveva scritto "Il Canto del pane", una raccolta di ballate popolari - le più palpitanti di vita - un’avventura, un canto polifonico, un prodigio di armonia in cui l'occhio del poeta percepisce l'eternità come dimensione di ogni componente dell'universo.
(Mi vengono in mente i versi della mistica visione di Dante,
il momento culminante dell’impresa, la "visio Dei", l’incontro fra l’umano e il divino, Par.33°
"Nel suo profondo vidi
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme").
Quella di Varujan “È poesia di carne e sangue, gioia e colore, con la vita di campagna, gli odori e i profumi della terra”[A. Arslan]. E la terra è l’Anatolia.
Un poeta e un cristiano ucciso insieme a più di un milione e mezzo di gente del suo popolo, un genocidio controverso e ignorato al punto da incoraggiare Hitler - è questo che si pensa – a realizzare il progetto della Shoah: non si sarebbe saputo nulla come per gli Armeni
Bisognerebbe leggere "Aia", "Raccolgo la messe...","Il giogo", "Papaveri", "Ritorno", "I fienili" …occorrerebbe per sentirsi penetrati dalla forza evocativa; quella che riporto – scelta a caso – è un assaggio; chi legga le altre non può non pensare a un giovane poeta orientale, aperto alla cultura dell'Occidente, vittima di una pulizia etnica.
La semina
E’ il seminatore. - Si erge possente
tra i raggi dorati del tramonto.
I campi della patria ai suoi passi
estendono scarna la propria nudità.
Il suo grembiule è pieno del grano
colto dalle stelle. Le spighe di un anno, assetate,
attendono il suo palmo gigante,
che spunta sui campi come l’aurora.
Semina, contadino - in nome del pane della tua casa,
non conosca limiti il tuo braccio;
questi grani che spargi, si verseranno
domani sulle teste dei tuoi nipoti.
Semina, contadino - in nome del misero affamato
non esca dimezzato il tuo palmo dal grembiule;
un povero oggi nella lampada del tempio
versò il suo ultimo olio per il raccolto di domani.
Semina, contadino - in nome dell’ostia del Signore
germi di luce straripino dalle tue dita;
in ciascuna delle spighe bianche di latte
maturerà domani una parte del corpo di Gesù.
Semina, semina - sia pure lontano dai confini,
come le stelle, come le onde, semina.
Che importa se i passeri devastano i tuoi chicchi -
Dio al loro posto seminerà delle perle.
Colma i solchi, fendi le fertili pianure,
luci d’oro zampillano dal grembo della terra.
Ecco, il giorno imbruna - e l’ombra del tuo braccio
si allunga sugli orizzonti di stelle.
(Mi vengono in mente i versi della mistica visione di Dante,
il momento culminante dell’impresa, la "visio Dei", l’incontro fra l’umano e il divino, Par.33°
"Nel suo profondo vidi
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme").
Quella di Varujan “È poesia di carne e sangue, gioia e colore, con la vita di campagna, gli odori e i profumi della terra”[A. Arslan]. E la terra è l’Anatolia.
Un poeta e un cristiano ucciso insieme a più di un milione e mezzo di gente del suo popolo, un genocidio controverso e ignorato al punto da incoraggiare Hitler - è questo che si pensa – a realizzare il progetto della Shoah: non si sarebbe saputo nulla come per gli Armeni
Bisognerebbe leggere "Aia", "Raccolgo la messe...","Il giogo", "Papaveri", "Ritorno", "I fienili" …occorrerebbe per sentirsi penetrati dalla forza evocativa; quella che riporto – scelta a caso – è un assaggio; chi legga le altre non può non pensare a un giovane poeta orientale, aperto alla cultura dell'Occidente, vittima di una pulizia etnica.
La semina
E’ il seminatore. - Si erge possente
tra i raggi dorati del tramonto.
I campi della patria ai suoi passi
estendono scarna la propria nudità.
Il suo grembiule è pieno del grano
colto dalle stelle. Le spighe di un anno, assetate,
attendono il suo palmo gigante,
che spunta sui campi come l’aurora.
Semina, contadino - in nome del pane della tua casa,
non conosca limiti il tuo braccio;
questi grani che spargi, si verseranno
domani sulle teste dei tuoi nipoti.
Semina, contadino - in nome del misero affamato
non esca dimezzato il tuo palmo dal grembiule;
un povero oggi nella lampada del tempio
versò il suo ultimo olio per il raccolto di domani.
Semina, contadino - in nome dell’ostia del Signore
germi di luce straripino dalle tue dita;
in ciascuna delle spighe bianche di latte
maturerà domani una parte del corpo di Gesù.
Semina, semina - sia pure lontano dai confini,
come le stelle, come le onde, semina.
Che importa se i passeri devastano i tuoi chicchi -
Dio al loro posto seminerà delle perle.
Colma i solchi, fendi le fertili pianure,
luci d’oro zampillano dal grembo della terra.
Ecco, il giorno imbruna - e l’ombra del tuo braccio
si allunga sugli orizzonti di stelle.