Infatti dopo la visione massmediatica di quelle scene da “macelleria messicana” in molti di noi qualcosa è cambiato, ed anche la città dell’acquario e della lanterna non è più la stessa.
Genova, che già nel luglio 1960 era stata scenario di violente scontri di piazza che impedirono lo svolgimento del congresso dell'MSI, non sarà mai più la "città vecchia" con gli odori di quel sottobosco di ladri, ubriachi, sfruttatori e prostitute dipinta da De Andrè con i colori tenui di un delicato acquerello, Genova assume ora i colori forti del nero dei black block che devastavano la città, del grigio delle divise dei militari e del rosso acceso del sangue di Carlo Giuliani sull'asfalto.
Genova non è più “un'idea come un'altra", l’idea che adesso prevale è quella di una grande tragedia umana, di cui vanno conosciuti gli attori, va studiata la dinamica degli eventi, vanno accertate le responsabilità, ma soprattutto va compreso il significato politico.
Vediamo allora chi sono gli attori di questa tragedia. Vi è innanzitutto la maggioranza pacifica dei manifestanti, uniti dall'idea no-logo, (e dall'etichetta erroneamente affibbiatale di no-global ), un arcipelago variegato di tematiche e sensibilità, che va dalle associazioni cattoliche ai pacifisti, dai centri sociali alle associazioni di volontariato, da alcuni partiti e sindacati a tutti coloro accorsi a manifestare senza nessuna insegna: un movimento che da Seattle in poi ha messo in discussione quel processo di globalizzazione neoliberista, e ne ha contestato le strutture, dalla Nato al Wto, dal Fmi al G8 .
Vi sono i destinatari della protesta: gli otto uomini del G8, in rappresentanza degli otto paesi più ricchi del mondo, che senza alcun mandato universale, danno di fatto vita ad un organismo che pretende di decidere sui destini economici del mondo, al di fuori delle sedi legittimamente riconosciute, come l'Onu, e al di sopra di ogni logica di coinvolgimento globale nelle scelte.
Vi sono i "black block", le tute nere, la frangia dei violenti, che con preparazione paramilitare ha distrutto indisturbata mezza città, composti dagli anarchici francesi e tedeschi, ma anche da infiltrati di estrema destra e delle stesse forze dell'ordine; ragazzi preparati alla guerriglia urbana, che dotati di cartine con luoghi e orari perfettamente segnalati, convergevano sugli obiettivi da distruggere, e colpivano sincronizzati senza conoscersi tra loro per poi tornare a mescolarsi in ordine sparso, nel grande corteo.
Per ultimo ci sono le forze dell'ordine, tremila uomini tra carabinieri, polizia di Stato, corpi speciali schierati in difesa della "zona rossa", cioè il confine invalicabile disegnato attorno alla sede del vertice.
La dinamica dei fatti è facilmente ricostruibile: il venerdì si assiste alla devastazione della città da parte di 500-600 teppisti in tuta nera, che invece di essere preventivamente fermati vengono lasciati indisturbati perpetrare le loro violenze; il sabato i Carabinieri caricano il corteo molto prima della zona rossa, spezzandolo in due tronconi e chiudendone uno in piazza Alimonda dove in seguito a scontri muore Carlo Giuliani colpito da un proiettile sparato presumibilmente da un Carabiniere di leva.
La notte del sabato gruppi speciali di Polizia fanno irruzione nella scuola Pertini con inaudita ferocia, si accaniscono indiscriminatamente contro ragazzi e ragazze che dormivano, compiendo 96 arresti ( di cui 93 già rilasciati il giorno dopo) e poi irrompono nella Diaz, sede legale del Genoa Social Forum, sfasciando i computer e distruggendo peraltro materiale probatorio. Le minacce, gli insulti e le violenze, secondo la versione degli arrestati, proseguono nelle caserme di Bolzaneto e SanGiuliano.
Certo che se ci eravamo ingenuamente illusi che certe situazioni avvenissero in paesi lontani, nel Cile di Pinochet, nell’Argentina dei colonnelli, nelle prigioni della Turchia, o che fossero uno sbiadito ricordo del ventennio, dopo Genova dovremo prendere atto che questa realtà ci appartiene.
I fatti sono fin troppo chiari, documentati da ore di registrazioni e migliaia testimonianze dirette che conferiscono all'accaduto una certa unicità di ricostruzione nelle dinamiche degli scontri, quello che divide è l'interpretazione politica dei fatti, le assunzioni di responsabilità, il peso che l'opinione pubblica decide di dare all'accaduto.
Non ci troviamo di fronte ad una delle tante ferite che il nostro paese ha vissuto, ad uno dei misteri di Italia, a stragi senza colpevoli, a servizi segreti deviati, in questo caso la ferita è più profonda perché se vi è stato abuso, l'abuso è avvenuto sotto gli occhi di tutti.
Se uno mette una bomba, lo fa nel buio, se invece la violenza avviene in diretta televisiva al senso di dolore si aggiunge anche quello di impotenza e paura.
A questo ordine di eventi corrisponde un chiaro patrocinio politico: durante i giorni del G8, il governo, per essere precisi il governo Berlusconi di centro-destra, è presente a Genova, impone il suo “blocco d’ordine e rivendica la legittimità delle violenze contro i manifestanti in nome della autodifesa delle forze dell’ordine (Fini presente nella centrale operativa della polizia durante gli scontri e poi da Vespa la stessa sera).
Va però ricordato che questa situazione può essere vista come la naturale evoluzione di un clima già creato dal precedente governo, basta vedere gli scontri di Napoli di pochi mesi prima (ministro dell’Interno Enzo Bianco) e prima ancora l’assalto al centro sociale Asckatasuna a Torino il 1° maggio 1999, dove per ritorsione le forze dell’ordine irruppero e sfasciarono tutto (ministro dell’Interno Giorgio “Morfeo” Napolitano).
Per cui la lettura che ne viene fuori è più complessa e va oltre la manichea contrapposizione tra “destra e sinistra”, a Genova infatti c’era, (per citare il cattivo maestro Toni Negri), la protesta popolare come una forza autonoma che si contrappone alle istituzioni capitalistiche, come espressione di una potenza che manifesta autonomamente la propria etica ed il proprio progetto di civiltà.
La strategia dei poteri che si oppongono a questa protesta è quella di rappresentare i movimenti globali attraverso le tinte dell’estremismo violento in modo da legittimare una repressione, non contro i pochi teppisti o provocatori che meritano tale repressione, ma contro tutto il movimento, quasi a voler impaurire e scoraggiare i manifestanti pacifici e non inclini agli scontri di piazza, sottraendo così spazi di democrazia. Il contrasto è tra la garanzia dei diritti di libertà di cittadini che manifestano per le proprie idee e la repressione violenta contro quei cittadini e contro quelle idee.
È un clima pericoloso quello che si è creato dopo Genova, una parte del paese vive il rapporto con le forze di polizia con un sentimento che va dal distacco all'ostilità,( uno,cento,mille nassirya) ed un paese civile non può e non deve permettersi questo, (ricordiamo il clima che si era creato intorno a Calabresi), perché il valore della divisa è un patrimonio incalcolabile in uno Stato democratico.
Gli abusi perpetrati da una parte delle Forze dell’Ordine, la negazione arrogante di ogni responsabilità e la copertura da parte dei superiori, non aiuta a ricucire questo strappo ma offusca il prestigio di personaggi come Carlo Alberto Dalla Chiesa, Beppe Montana, Boris Giuliano, Emanuele Basile, per citarne solo alcuni, morti nella lotta contro la mafia, in difesa della legalità e della civiltà.
Quando in un paese democratico si assiste alla sospensione dei diritti civili e delle libertà individuali senza che una consistente parte di esso si senta coinvolta, quando una fetta qualificata dell’opinione pubblica assorbe senza traumi quanto successo, anzi lo considera solo la “reazione giustificata” di una parte contro la “provocazione illegittima” dell’altra, allora l’ossimoro “civiltà o barbarie” si risolve inevitabilmente a favore di quest’ultimo.
Ed in questo caso la colpa diventa di tutti quelli che, pur avendo i mezzi intellettuali per leggere la situazione, hanno voltato la testa dall’altra parte.
“ …e se credete ora che tutto sia come prima
perché avete votato ancora, la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare la paura di cambiare,
verremo ancora alle vostre porte, e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti!..." F. De André
Alberto Minafra
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