IL SUD: cent'anni di solitudine
"Lamento per il Sud "
La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve …
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate tra le nebbie
Ho dimenticato il mare, la grave"Lamento per il Sud "
La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve …
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate tra le nebbie
conchiglia soffiata dai pastori siciliani
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell’aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia.
Ma l’uomo grida dovunque la sorte d’una patria.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l’eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d’acacia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
di Salvatore Quasimodo
Ma non è solo poesia:
“Politicamente l’Italia meridionale è assente. Non è conservatrice, né liberale, né radicale: è apolitica”. Così, uno dei più illustri meridionalisti del Novecento, Francesco Saverio Nitti, sintetizzava lo stato della ‘questione meridionale’ agli inizi del secolo scorso. A distanza di un secolo, i termini del problema non sembrano essere molto diversi. L’economia meridionale cresce a ritmi sistematicamente inferiori rispetto a quella settentrionale, e, a fronte di questa evidenza, il nostro ceto politico recepisce pressoché in toto le prescrizioni della borghesia industriale del Nord che, per il tramite della ‘devoluzione’, intende comunicare l’idea che lo sviluppo del Mezzogiorno passa per una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali. Ed è solo rendendo scarse le risorse disponibili che si incentiva chi le amministra a farne un uso efficiente.
Nel corso degli ultimi mesi, la tesi secondo la quale gli amministratori locali meridionali sarebbero propensi allo spreco, se non alla corruzione, è gradualmente diventata un dogma. E’ un dogma pericoloso innanzitutto sul piano culturale, dal momento che si fonda implicitamente sulla convinzione che le popolazioni meridionali non sono in grado di selezionare un ceto politico competente e non corrotto. Ed è anche un dogma che non riesce a dar conto di due questioni rilevanti. In primo luogo, non viene chiarito per quale ragione – ammesso che le cose stiano esattamente in questi termini – i cittadini meridionali esprimono un voto meno razionale dei loro colleghi settentrionali. Se, ragionevolmente, ciò accade perché in contesti di elevata disoccupazione è maggiore la probabilità di scambi illeciti fra elettorato e rappresentanti politici, la risposta federalista è, nella migliore delle ipotesi, inutile, dal momento che, in quanto tale, non è finalizzata a ridurre la disoccupazione meridionale. In secondo luogo, non è affatto chiaro cosa esattamente si intende per spreco. E’ opportuno sottolineare, a riguardo, che non esiste spreco in quanto tale, essendo questa categoria comunque sempre relativa a obiettivi specifici, propri di specifici gruppi sociali. Esemplificando: il Ponte sullo Stretto di Messina può essere legittimamente considerato spreco da coloro che preferirebbero una maggiore dotazione infrastrutturale nell’Isola, mentre non è certamente tale dal punto di vista dell’imprenditoria chiamata a realizzarlo.
Non è casuale, stando così le cose, che il dibattito sul federalismo è stato in larghissima misura un dibattito sui suoi aspetti tecnici, non sui suoi presupposti. Mettere in discussione i presupposti del federalismo significa, a ben vedere, interrogarsi sulle ragioni reali che sottostanno al progetto leghista, e che possono essere così individuate. Si può partire da due riscontri empirici. Primo: l’ultimo rapporto SVIMEZ certifica che i salari al Nord sono mediamente più alti di 13.000 euro l’anno rispetto ai salari percepiti dai lavoratori meridionali, e, per quanto attiene al reddito pro-capite, il divario tra le due aree del Paese è aumentato nell’ultimo biennio dello 0,2%. Secondo: la quota delle esportazioni del Mezzogiorno sul totale nazionale è risultata, nel 2007, pari all’11,7%, con un lieve incremento rispetto al 2006 (11,1%). Poiché le imprese meridionali, tecnologicamente di retroguardia e di piccole dimensioni, riescono ad acquisire quote di mercato solo mediante la compressione dei prezzi e, dunque, dei costi di produzione, appare chiaro che la ripresa delle esportazioni meridionali è dovuta alla riduzione dei salari nel Mezzogiorno.
Date queste condizioni, si prefigurano due scenari:
1) Si consideri che le due voci principali di esportazione del Mezzogiorno riguardano i mezzi di trasporto e gli apparecchi meccanici, e che la gran parte delle esportazioni proviene da imprese la cui proprietà non è di operatori meridionali. Da un lato, i profitti provenienti dalle esportazioni vanno, dunque, in parte a beneficio di imprese localizzate nel Mezzogiorno, ma il cui assetto proprietario è esterno all’area, così che non vi è nessun meccanismo automatico che assicuri che vengano reinvestiti in loco. Dall’altro lato, la quota residua di profitti attiene all’esportazione di prodotti intermedi, che vengono lavorati e venduti da imprese non meridionali, generando incrementi di profitto nelle altre macro-regioni del Paese; profitti ottenuti mediante riduzioni dei salari dei lavoratori meridionali.
2) La riduzione del reddito pro-capite incentiva le emigrazioni dal Sud al Nord del Paese. A riguardo, l’ultimo rapporto SVIMEZ registra che il Mezzogiorno ha perso circa 52 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord, ad un ritmo di 2,5 abitanti ogni mille. Su fonte Istat, si apprende che, nel biennio 2004-2005, i trasferimenti di residenza dal Sud al Centro-Nord si sono attestati intorno alle 120 mila unità, per poi continuare a crescere, seppur lievemente, nel successivo biennio 2006-2007. Il Rapporto segnala che la gran parte di coloro che si spostano sono giovani in età da lavoro e con elevata scolarità. Ciò a dire che l’impoverimento dei lavoratori meridionali amplia il bacino di manodopera – peraltro qualificata – alla quale le imprese settentrionali possono attingere.
L’accelerazione imposta al progetto federalista può essere letta, dunque, come il risultato dell’impellente necessità – da parte dell’imprenditoria settentrionale, in condizioni recessive – di approvvigionarsi di prodotti intermedi e di forza-lavoro a basso costo dalle regioni del Sud. Giacchè è solo viaggiando a doppia velocità – e, dunque, accentuando il dualismo territoriale - che il capitalismo italiano riesce a far fronte alla concorrenza internazionale.
di
Guglielmo Forges Davanzati
(dal Nuovo Quotidiano di Puglia)