martedì 12 maggio 2009

Si parlava di barbari , vandali, negri , zingari, marocchini.
Si parla di profughi, rifugiati, migranti, extracomunitari, clandestini.
E sono compagni di viaggio.


Incontro numerosi vinti di cui ignoro i vincitori. Dormono al riparo di cartoni d'imballaggio su qualcuno degli oltre sette colli di Roma. Vengono da un laggiù che non è più un posto.
E' strano pensare che ci sono uomini senza posti: è più frequente credere a posti senza uomini.
In un paese di proprietari di seconde case è già fatica l'immaginare. Eppure anche la geografia, che sembra materia più solida rispetto alle esigenze umane, scompare: per cataclismi, per artiglierie.

E non c'è più ritorno, solo un'andata alla ventura presso un paese, un altro, un altro ancora.
S'incontra così presso di noi il popolo dei vinti, una colonna in rotta che trasforma per forza noi altri in vincitori. E noi ci schermiamo: non siamo stati noi, non ne sappiamo nulla delle vostre guerre.

E abbiamo ragione, è stato un errore della storia a consegnarci un popolo di vinti senza nemmeno la soddisfazione di una conquista territoriale, di un generale da applaudire.

Non si sono allargati i confini, anzi si sono ristretti e non stanno più sulle Alpi e sulla linea immaginaria delle acque territoriali, ma davanti all'uscio di ogni casa tra chi sta dentro e chi è accampato fuori, alla base della glaciale parete nord occidentale del mondo di noialtri.
La luna consiglia: non affacciarsi (da un testo di Erri De Luca)


Le ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulla impossibilità di avere in Italia una società multietnica suscitano preoccupazione e angoscia, ci convincono anzi della necessità di rivedere il vocabolario della storia. Fin dai tempi antichi, a partire dal Medioevo i diversi li abbiamo giudicati sempre con il sentimento di paura, chiamandoli barbari, vandali, negri, zingari, marocchini, non li abbiamo mai intesi come compagni di viaggio. Eppure, nonostante ci dichiariamo cristiani, nonostante ci sentiamo attenti all’ insegnamento del Vangelo dove si insegna: ti accolgo perché sei diverso; ti offro da bere e non ti nego il pane perché è dovere di ogni cristiano avere solidarietà e rispetto, noi verso gli immigrati continuiamo a tenere un atteggiamento irresponsabile e di complice silenzio. Sulla grande civiltà del diritto rischiamo di mettere una maschera tragica della paura perdendo di vista la persona come valore. Diviene così che l’ immigrato irregolare, in terra lontana, non può fare il matrimonio, non può dichiarare un figlio naturale, non può avere neanche degna sepoltura, valore che ha radici lontane e profonde nelle civiltà di ogni tempo che il reato di clandestinità cancella e vanifica. Il diritto d’ asilo è un diritto soggettivo riconosciuto dall’ articolo 10 della Costituzione:”Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’ effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’ asilo nel territorio della repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Questo articolo fu scritto dopo gli anni violenti del fascismo, fascismo che oggi, passo dopo passo, sta tornando nel nostro paese anche nelle forme del razzismo e minacciando pesantemente la nostra Costituzione. Il nostro paese è porta di Europa e quindi i nostri confini sono accessibili a tutti. Pagano un biglietto? Forse, ma agli sciacalli di tutte le guerre, perché vengono da paesi dove le guerre ci sono e come. E noi non dobbiamo avere paura del diverso, dobbiamo aprirci e costruire una società di valori plurali che sappia trovare nelle parole il senso di stare insieme nell’ esperienza della storia. La proposta di Concita de Gregorio di fare una legge organica sul diritto d’ asilo mi sembra il modo più civile e più responsabile per rispondere al movimento della nuova geografia politica ed economica dei paesi nel bacino del Mediterraneo.

di Luigi Mangia