Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Manzoni e il Federalismo
Nel momento in cui si sta instaurando in Italia un ordinamento ‘federale’, al di là delle responsabilità dei partiti e degli organi costituzionali, crediamo sia dovere di ogni italiano esprimere il proprio parere, quale che sia, su un fatto che potrebbe cambiare radicalmente il volto del proprio paese. Se il ‘federalismo’ (sia pure fiscale) viene istituito, potremmo dire che è finita una fase della storia italiana, quella, s’ intende, che ha avuto inizio con la proclamazione dell’Unità nel 1861. L’Italia che ne verrà fuori sarà, per forza di cose, un’altra’ Italia.
In questi anni una martellante (e interessata) propaganda ha fatto diventare una verità ovvia, non bisognosa nemmeno di argomentazione, l’idea che il “federalismo” sia una “necessità storica” o una “esigenza di modernità”. Ma, a nostro parere, il federalismo in Italia, oggi, a più di un secolo dalla realizzazione dell’Unità, non ha alcun senso; lo avrebbe avuto nel 1861, perché il Federalismo serve a tenere insieme realtà sociali molto diverse, come erano le varie regioni nel momento della formazione dell’Italia unita. Oggi il federalismo avrebbe solo l’effetto di disunire ciò che in più di cento anni di storia è stato faticosamente unito, dando luogo ad una nazione che, unitariamente, ha percorso una storia politica, economica e culturale e che unitariamente ha raggiunto i livelli odierni. Con ‘unitariamente’ si intende dire che è impossibile distinguere nettamente e sicuramente il contributo delle singole regioni al raggiungimento dello stato attuale, se è vero che ci sono stati nel corso dei decenni travasi di persone e circolazione di beni e di merci da un posto all’altro dell’Italia. Per dirla con le parole di un poeta non sospettabile di origini meridionali:
Chi potrà della gemina Dora,
della Bormida al Tanaro sposa,
del Ticino e dell’Orba selvosa
scerner l’onde confuse nel Po;
chi stornargli del rapido Mella
e dell’Oglio le miste correnti,
chi ritoglierli i mille torrenti
che la foce dell’Adda versò;
quello ancora una gente risorta
potrà scindere in volghi spregiati,
e a ritroso degli anni e dei fati
risospingerla ai prischi dolor;
una gente che libera tutta
o fia serva tra l’Alpe ed il mare:
una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor.
E il Manzoni, come chiariscono al di là di ogni dubbio gli ultimi versi citati, non pensava certamente alla Padania!
Questi sono stati i sentimenti, diciamo pure gli ideali, con i quali la nostra generazione in qualche modo è cresciuta nelle aule scolastiche. ogni forma di federalismo che si voglia attuare non potrà non essere un tradimento di questi sentimenti, di questi ideali.
L’art 119 stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni…dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”, ma è evidente che i padri costituenti intendessero una ‘compartecipazione’ di percentuale minima. In realtà il federalismo ‘fiscale’ è la maschera ipocrita di un sentimento antimeridionale che la Lega ha sempre coltivato fin dalla sua origine e che è stata pragmaticamente dismessa nel corso degli anni per assumere una fisionomia più tranquillizzante, ammantata di motivazioni politiche ed economiche più accettabili (basti pensare al titolo della Padania di qualche tempo fa: “I soldi tornano a casa”.). Esso è perciò, per il Meridione, un’ offesa, uno schiaffo immeritato.
Un federalismo di questo tipo può innescare un processo i cui esiti non sono tutti prevedibili. Sentimenti di antipatia o di ostilità, che ora si mantengono su un piano ironico e civile, una volta che siano intervenute più profonde differenze economiche (basta vedere le fortissime differenze di gettito fiscale tra Regioni del nord e Regioni del sud) e più marcate distinzioni territoriali, potrebbero portare ad atteggiamenti irrazionali di ribellione e di protesta dagli esiti imprevedibili. Per questo diventa quanto mai necessario rivendicare con forza il principio della parità fiscale tra le città, evitare, soprattutto, la contrapposizione delle città del Sud contro quelle del Nord, delle coste contro quelle dell’entroterra. Perciò bisogna pensarci bene prima di incamminarsi per una strada che potrebbe portarci dritti alla rottura dell’unità italiana.
Per quanto ci riguarda non abbiamo dubbi: parafrasando Manzoni “questo federalismo non s’ha da fare”.
Ci sono altre strade per prendere in considerazione esigenze di una diversa redistribuzione della ricchezza sul territorio nazionale, ma esse devono passare per la strada dell’ unità nazionale che non deve essere mai, neppure parzialmente, messa in discussione.
Di fronte ad una classe politica che per convenienza o per un assurdo bisogno di ‘collaborare’ non si accorge che sta praticamente ‘svendendo’ il Meridione alle prepotenze di Bossi, crediamo che l’assetto federale non possa essere deciso da accordi più o meno chiari in Parlamento. E' al popolo che occorre dar voce.
di
Pietro Giannini
Ordinario di Letteratura Greca, Università del Salento
e
Luigi Mangia
Docente di Materie Letterarie ITC “Michele La Porta”, Galatina-Lecce