venerdì 1 maggio 2009

Sharia e misoginia di Tony Tundo

Ha raccontato la condizione delle donne, delle giovani donne iraniane, Azar Nafisi in un intenso romanzo autobiografico del 2007 "Leggere Lolita a Teheran", una storia che sembra ispirata alla terribile notizia che in queste ore arriva da Rasht: l'impiccagione, con modalità oltremodo ciniche, di una ventitreenne colpevole, probabilmente, solo di essere donna e donna che ha avuto il coraggio di assumersi responsabilità non sue, per un uomo. E una donna paga sempre a caro prezzo nel mondo islamico, perché c'è un rapporto strettissimo tra sharia e misoginia.


Dopo la rivoluzione di Khomeini, mentre la vita civile, dunque le città, l'attività universitaria, le piazze di Teheran sono scenari di azioni di efferatezza inaudita, mentre l'ayatollah sta trasformando il popolo in massa organica al regime, Azar Nafisi ha scelto di incontrare, giornalmente e clandestinamente, ragazzi e ragazze per discutere con loro di letteratura; a nessun regime è piaciuta la letteratura, eppure nessun regime è mai riuscito a soffocare la voce dei poeti. Finora...
Nel 1995, lasciato l'incarico all'università dove insegnava letteratura angloamericana, Azar Nafisi fa della letteratura una via di fuga per sé e per le sue studentesse: un seminario privato; le ragazze nel suo salotto, "tolgono il velo e la veste e diventano di botto a colori". Non solo il velo, "si levano di dosso molto di più; lentamente ognuna di loro acquista una forma, un profilo, diventa il suo proprio inimitabile sé". Le giovani donne leggono Jane Austen, Fitzgerald e, soprattutto, Nabokov. Discutono con passione di Lolita e di Daisy e di Emma Bovary. Il seminario diventa il rifugio, il varco, la maglia rotta della rete, o almeno "una sorta di sberleffo alla realtà di volti impauriti e nascosti nei veli della città sotto di noi". Nel loro rifugio Azar e le sue ragazze guardano il mondo attraverso l'osservatorio privilegiato della letteratura. Parlare di Lolita a ragazze di Teheran fa della letteratura "un corso di autodifesa"
Nella storia della ragazza di dodici anni che è prigioniera dell'uomo che ne fa la sua amante, Nafisi e le sue studentesse vedono "una denuncia dell'essenza stessa di ogni totalitarismo". Ne discutono a lungo, vedono in Lolita, in Gatsby, in Darcy riflettersi le loro vite, vere e dolenti: "a Lolita, dicono, è stata sottratta non solo la vita ma anche la possibilità di raccontarla". Azar, indomita pur col suo carico di sogni delusi, le giovani allieve già piene di dolore e di rimpianti: la generazione dell'insegnante ha solo la memoria della libertà passata, le più giovani avranno solo "ricordi fatti di desideri irrealizzati". Doveva andare diversamente: nel 1979, quando Nafisi, dopo gli studi negli Stati uniti, era tornata a Teheran, la rivoluzione antimperialista aveva vinto o - forse - aveva solo regalato illusioni, in particolare agli studenti come Nafisi, e le speranze in breve erano inesorabilmente crollate, insieme ai romanzi e alle biblioteche. Il partito di Dio - Hezbollah - aveva preso il controllo delle università, le correnti di sinistra erano state sconfitte, le voci laiche e dissidenti zittite. La "normalizzazione" era arrivata nella veste di "comitato per la rivoluzione culturale".

Come sempre, in tutte le storie di totalitarismi, la "presunta cultura" altro non è che strumento di regime a tappe forzate.
Poi la guerra con, inevitabilmente, la retorica della morte e del martirio.

Andare via: questo desiderio si era andato mescolando alle discussioni letterarie. Se ne andrà Azar Nafisi, partirà per gli Stati Uniti, portando con sé la certezza (forse l'unica speranza di affrancamento) delle ragazze: "Non potrai scrivere di Austen senza scrivere anche di noi", le dicono: "La Austen che conosci è irrimediabilmente legata a questo posto". Proprio come Lolita.
La lotta contro la tirannia trova nella scrittura un'arma indefettibile, così Azar scrive microstorie di donne che indossano il solito velo davanti al solito specchio per uscire e diventare ancora una volta parte di quella che chiamano realtà e di donne che sono al centro di atroci violenze.
Dunque parla anche di Delara. Non era bastata a Nafisi la"fuga" nella letteratura (e a Manna, Mitra, Hamid, Mahshid, Yassi? non personaggi di un libro, persone), non è bastata a Delara Darabi la "fuga" nei colori per sfuggire alla paura dell'impiccagione.
E' stata giustiziata, oggi.
Delara Darabi era un' iraniana di 23 anni con la passione per la pittura, era stata condannata quando aveva 17 anni.
Si era dichiarata colpevole: la giovane età l'avrebbe risparmiata, per legge.

(La nota n.1 dell’articolo 1210 del codice civile stabilisce: “L’età della pubertà per un ragazzo é di 15 anni lunari compiuti e per una ragazza é di 9 anni lunari compiuti”. L’articolo 48 del codice penale dei 1991 prevede che i bambini sono liberi da responsabilità penali. La nota n.1 dello stesso articolo definisce un bambino come una persona che non ha raggiunto l’età della pubertà legale. Ciò significa che una bambina di 9 anni può essere punita come un adulto con la fustigazione)

Ha continuato a dipingere Delara anche quando le hanno sequestrato pennelli e colori, lo ha fatto con le mani e il carboncino.

L’Iran, pur avendo ratificato la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, punisce come adulti i bambini a partire dai 15 anni e le bambine dai 9.

Ci sono 150 bambini nel braccio della morte.