Una scelta da fare subito: eliminare gli esami o restituirli agli studenti
di Tony Tundo
Ho sposato ostinatamente e da sempre il pensiero di Calamandrei sul valore prima di tutto morale degli esami, ma è tempo di essere concreti. Parlo degli scritti, tra errori come quello, non isolato, della traccia su Montale lo scorso anno, traduzioni delle versioni e soluzioni del compito di matematica in Rete, va proprio riconosciuto: gli esami non servono più a niente. E non sono solo questi i motivi, c'è di molto peggio; non sono per i ragazzi, chi dovesse avere qualche dubbio, legga i commenti, di seguito riportati, sulle tracce, apparsi oggi sul Corriere della sera, e ascolti le opinioni raccolte qua e là dai telegiornali, constati la confusione assoluta che governa gli esami e rifletta: dentro ci sono i giovani. In tutti i tg è stato detto, e anche a me e da molti : tracce facili quest'anno, vero? Che vuol dire? A cosa si dà il giudizio, alla traccia, che appare essenziale e aperta o al corredo di documenti anche iconografici o fotografici che l'accompagnano, una sorta di mappa concettuale su cui i candidati dovrebbero costruire il loro lavoro? A chi sono indirizzati? Ai ragazzi che le statistiche OCSE descrivono, quasi sempre correttamente, come disattenti e demotivati, praticamente asini, oppure a Panza e a Battista? Perché, a leggere i loro commenti, sembrerebbe che i ragazzi siano chiamati a discutere, da controrelatori, una tesi di laurea preconfezionata e altrui, e non debbano, al contrario, dare forma al loro pensiero sul tema proposto. Cosa possano conoscere i giovani del 2009 della Beat Generation, come possano seguire l'excursus storico-sociologico proposto, dalla mitica vespa attraverso i Beatles, la rivoluzione della minigonna di Mary Quant e fino a Facebook, è un mistero. E' imbarazzante lo scollamento tra il mondo giovanile e le modalità con cui i ragazzi vengono sollecitati a esprimersi e testare le proprie conoscenze al termine del ciclo di studi. Molto più onesto il tema storico che, senza inutili, vuoti e propagandistici modernismi, chiedeva di riflettere sugli imminenti 150 anni di storia dall'Unità ed evidenziare le differenze tra le forme di Stato da quello liberale-monarchico a quello autoritario-fascista a quello democratico-repubblicano. Non è vero che si trattasse di un argomento per studenti universitari come osserva, sempre sul Corriere, Belardelli, un maturando li deve conoscere gli snodi cruciali della storia anche sotto l'aspetto giuridico; se non fosse così, non dovremmo limitarci a eliminare una volta per tutte gli esami, ma la scuola tutta.
E poi, per favore, Alberoni agli esami di stato, no.
I commenti, nell' ordine, di Battista e Panza
Saggio breve (ambito storico-politico)
La "cultura giovanile"
Le generazioni sono sempre esistite. Ma la coscienza di una generazione è un fenomeno tipicamente moderno. C’è la generazione che si ritrova nelle trincee e nel grande massacro della Prima guerra mondiale. C’è la generazione che nei perbenisti anni Cinquanta prova ad esprimersi con il rock & roll, con le avventure on the road di Kerouak, con le inquietudini febbrili della gioventù bruciata di James Dean. Ma è negli anni Sessanta, il decennio che ha incubato e stilizzato la maggior parte delle immagini proposte in questa traccia d’esame, che nasce l’internazionale dei giovani. Attraverso le immagini, i romanzi, la creazione artistica, grafica, fumettistica, la politica, ma soprattutto attraverso la presenza diffusa, planetaria, ubiquitaria della musica pop, una generazione si identifica come tale in ogni angolo del mondo. Elabora i suoi simboli e le sue icone, i suoi ritmi e il suo linguaggio. La prima vera, grande, irresistibile globalizzazione avviene lì, in quello che viene definito con un termine oramai diventato logoro per l’uso e l’abuso, «l’immaginario giovanile». Un fenomeno che, paradossalmente, cresce a dismisura e si dilata a livello universale alimentandosi di ciò che viene eletto a simbolo negativo: il consumo e il consumismo. La democratizzazione dei consumi spezza ranghi e cristallizzazioni sociali, sovverte i canoni della cultura, demolisce barriere e tradizioni. I jeans diventano un consumo giovanile mondiale. L’industria discografica conosce il suo momento di splendore. I concerti si trasformano in happening di massa. La cultura giovanile si impone di pari passo con il consumo giovanile. E su tutto si intensifica in dimensioni inimmaginabili l’uso, la produzione, il consumo, la simbolizzazione delle immagini e della fotografia in primo luogo. Non c’è evento mondiale che non si rispecchi in un clic destinato a fare epoca. E il mondo, attraverso la diffusione di mezzi di riproduzione fotografica sempre più maneggevoli e a basso costo, scopre nella fotografia un mezzo espressivo di grande impatto. Non più l’album di famiglia. Ma l’immagine come espressione di sé, registrazione visiva di uno stato d’animo. La fotografia diventa icona di una generazione, parte integrante della cultura giovanile. Entra nella storia l’immagine del «Che» assassinato in Bolivia, nuovo Cristo del Mantegna riprodotto in una serie infinita di poster e t-shirt, o quella dei giovani di Praga furenti e disperati che nell’agosto del ’68 gridano invettive ai tank sovietici dell’occupazione militare della Cecoslovacchia. Foto e colonna sonora: è soprattutto così che la cultura giovanile si riconosce come protagonista del mondo.
Saggio breve(ambito artistico-letterario)
Le generazioni sono sempre esistite. Ma la coscienza di una generazione è un fenomeno tipicamente moderno. C’è la generazione che si ritrova nelle trincee e nel grande massacro della Prima guerra mondiale. C’è la generazione che nei perbenisti anni Cinquanta prova ad esprimersi con il rock & roll, con le avventure on the road di Kerouak, con le inquietudini febbrili della gioventù bruciata di James Dean. Ma è negli anni Sessanta, il decennio che ha incubato e stilizzato la maggior parte delle immagini proposte in questa traccia d’esame, che nasce l’internazionale dei giovani. Attraverso le immagini, i romanzi, la creazione artistica, grafica, fumettistica, la politica, ma soprattutto attraverso la presenza diffusa, planetaria, ubiquitaria della musica pop, una generazione si identifica come tale in ogni angolo del mondo. Elabora i suoi simboli e le sue icone, i suoi ritmi e il suo linguaggio. La prima vera, grande, irresistibile globalizzazione avviene lì, in quello che viene definito con un termine oramai diventato logoro per l’uso e l’abuso, «l’immaginario giovanile». Un fenomeno che, paradossalmente, cresce a dismisura e si dilata a livello universale alimentandosi di ciò che viene eletto a simbolo negativo: il consumo e il consumismo. La democratizzazione dei consumi spezza ranghi e cristallizzazioni sociali, sovverte i canoni della cultura, demolisce barriere e tradizioni. I jeans diventano un consumo giovanile mondiale. L’industria discografica conosce il suo momento di splendore. I concerti si trasformano in happening di massa. La cultura giovanile si impone di pari passo con il consumo giovanile. E su tutto si intensifica in dimensioni inimmaginabili l’uso, la produzione, il consumo, la simbolizzazione delle immagini e della fotografia in primo luogo. Non c’è evento mondiale che non si rispecchi in un clic destinato a fare epoca. E il mondo, attraverso la diffusione di mezzi di riproduzione fotografica sempre più maneggevoli e a basso costo, scopre nella fotografia un mezzo espressivo di grande impatto. Non più l’album di famiglia. Ma l’immagine come espressione di sé, registrazione visiva di uno stato d’animo. La fotografia diventa icona di una generazione, parte integrante della cultura giovanile. Entra nella storia l’immagine del «Che» assassinato in Bolivia, nuovo Cristo del Mantegna riprodotto in una serie infinita di poster e t-shirt, o quella dei giovani di Praga furenti e disperati che nell’agosto del ’68 gridano invettive ai tank sovietici dell’occupazione militare della Cecoslovacchia. Foto e colonna sonora: è soprattutto così che la cultura giovanile si riconosce come protagonista del mondo.
Saggio breve(ambito artistico-letterario)
Innamoramento e amore
Trent’anni fa, quando uscì per la prima volta, «Innamoramento e amore» del sociologo Francesco Alberoni venne un po’ sbeffeggiato dall’intellighenzia sessantottina. Ripubblicato quest’anno dalla Bur è diventato un buon tema di riflessione per la generazione del tutto sesso senza innamoramento. La tesi di Alberoni è semplice ed efficace[...]. Naturalmente la storia dell’amore non è stata così semplice. Basti leggere «L’amore e l’Occidente» di Denis de Rougemont o lasciarsi trasportare dalle suggestioni: l’amore tragico e assoluto di Giulietta e Romeo, gli amori impossibili del melodramma, dalla «Traviata» a «Tristano e Isotta», sino all’«amore criminale» del quale dà nota la cronaca quotidiana. I documenti figurativi e letterari allegati dovevano servire per declinare questo tema, affascinante ma vasto come il mare. I documenti artistici, a parte Canova, sono troppo vicini nel tempo: Chagall è del 1917-8 e Magritte del 1928. Manca la tradizione pittorica italiana del Rinascimento e successivi, da Raffaello a Tiziano e si privilegia una visione, direi freudiana, dell’arte, fatta propria dalle Avanguardie. Tanto che non c’è traccia neppure di un immagine dell’Ottocento romantico, al limite «Il bacio» di Hayez. Personalmente avrei inserito Apollo e Dafne di Bernini, cerniera tra il mito classico e la tradizione rinascimentale e barocca. Da solo avrebbe consentito molteplici punti di tematizzazione interdisciplinari: dalle «Metamorfosi» di Ovidio, alla scultura e pittura rinascimentale sino al Gozzano della «Signorina Felicita» («Dafne rincorsa e trasmutata in lauro / tra le braccia del nume ghermitore»). Bernini, per altro, scolpisce anche la più seducente immagine del rapimento estatico dell’innamoramento sacro: l’Estasi di Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria della Vittoria in Roma. E uno degli elementi che manca nelle tracce figurative è proprio, direi, l’idea di amore cristiano. Le tracce letterarie, invece, coprono un’arco apparentemente completo, ma sono esclusivamente poetiche. E ciò le rende ripetitive. Il tipo di amore presentato, diciamo così, è quello romantico-cavalleresco; è l’amore-odio, morte, distacco. Certo, se si fossero scelti anche brani del Cinque o Settecento avremmo scoperto che l’innamoramento può essere anche semplice passione, gioia, commozione, forse gioco. Si dirà: ma è proprio l’amore romantico che i giovani devono riscoprire, e non certo i «Sonetti lussuriosi» dell’Aretino! Giusto. Ma proprio per questo bisogna giustapporre le dimensioni, mostrare che ci sono strade diverse che per libera scelta si possono seguire. Mettere su un piedistallo Paolo e Francesca come «modelli», o Gozzano e la signorina Felicita di Aglié, li distanzia da noi, li fa pensare come monumenti o figure letterarie «del passato», niente di praticabile. Forse qualche brano di romanzo Otto-Novecentesco avrebbe aiutato a separare le distanze.
Trent’anni fa, quando uscì per la prima volta, «Innamoramento e amore» del sociologo Francesco Alberoni venne un po’ sbeffeggiato dall’intellighenzia sessantottina. Ripubblicato quest’anno dalla Bur è diventato un buon tema di riflessione per la generazione del tutto sesso senza innamoramento. La tesi di Alberoni è semplice ed efficace[...]. Naturalmente la storia dell’amore non è stata così semplice. Basti leggere «L’amore e l’Occidente» di Denis de Rougemont o lasciarsi trasportare dalle suggestioni: l’amore tragico e assoluto di Giulietta e Romeo, gli amori impossibili del melodramma, dalla «Traviata» a «Tristano e Isotta», sino all’«amore criminale» del quale dà nota la cronaca quotidiana. I documenti figurativi e letterari allegati dovevano servire per declinare questo tema, affascinante ma vasto come il mare. I documenti artistici, a parte Canova, sono troppo vicini nel tempo: Chagall è del 1917-8 e Magritte del 1928. Manca la tradizione pittorica italiana del Rinascimento e successivi, da Raffaello a Tiziano e si privilegia una visione, direi freudiana, dell’arte, fatta propria dalle Avanguardie. Tanto che non c’è traccia neppure di un immagine dell’Ottocento romantico, al limite «Il bacio» di Hayez. Personalmente avrei inserito Apollo e Dafne di Bernini, cerniera tra il mito classico e la tradizione rinascimentale e barocca. Da solo avrebbe consentito molteplici punti di tematizzazione interdisciplinari: dalle «Metamorfosi» di Ovidio, alla scultura e pittura rinascimentale sino al Gozzano della «Signorina Felicita» («Dafne rincorsa e trasmutata in lauro / tra le braccia del nume ghermitore»). Bernini, per altro, scolpisce anche la più seducente immagine del rapimento estatico dell’innamoramento sacro: l’Estasi di Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria della Vittoria in Roma. E uno degli elementi che manca nelle tracce figurative è proprio, direi, l’idea di amore cristiano. Le tracce letterarie, invece, coprono un’arco apparentemente completo, ma sono esclusivamente poetiche. E ciò le rende ripetitive. Il tipo di amore presentato, diciamo così, è quello romantico-cavalleresco; è l’amore-odio, morte, distacco. Certo, se si fossero scelti anche brani del Cinque o Settecento avremmo scoperto che l’innamoramento può essere anche semplice passione, gioia, commozione, forse gioco. Si dirà: ma è proprio l’amore romantico che i giovani devono riscoprire, e non certo i «Sonetti lussuriosi» dell’Aretino! Giusto. Ma proprio per questo bisogna giustapporre le dimensioni, mostrare che ci sono strade diverse che per libera scelta si possono seguire. Mettere su un piedistallo Paolo e Francesca come «modelli», o Gozzano e la signorina Felicita di Aglié, li distanzia da noi, li fa pensare come monumenti o figure letterarie «del passato», niente di praticabile. Forse qualche brano di romanzo Otto-Novecentesco avrebbe aiutato a separare le distanze.