La scuola come realtà e rappresentazione di Tony Tundo
Pur nella fase di un graduale allontanamento dall’ossessione del lavoro d’insegnante, una come me che – come dico spesso – è cresciuta a pane e scuola non può rimanere in silenzio rispetto alla china che sta prendendo la questione della scuola pubblica. C’è una netta ed evidentissima divaricazione fra la scuola reale e quella rappresentata dai politici, basta volerla vedere. E credo che da giorni e giorni – ma potrei dire mesi – la mettano in chiara luce i precari che sono in sciopero della fame; e sarebbero rivoluzionari o, peggio, strumentalizzati? Uno rischia il ricovero dopo ore e ore al sole d'agosto, come è accaduto, perché è di sinistra? Ma andiamo…
La verità è che i tagli ce li raccontano come una razionalizzazione e una semplificazione del sistema scolastico utile al futuro dell’economia, val bene dunque che duecentomila laureati/ abilitati/ vincitori di concorso sacrifichino il diritto al lavoro guadagnato con lo studio e sancito dalla Costituzione all’altare della ripresa.
La verità è un’altra e riguarda quantità e qualità insieme, ci si affanna a cambiare indiscriminatamente, a inventare nuove riforme prima ancora di vedere i frutti delle precedenti, lo fa ogni nuovo ministro quasi sia questo, e non altro, il suo compito primario, lo fa senza riflettere quasi che la riflessione sia un atteggiamento statico, si continua a costruire su basi fragili e inevitabilmente crollano i muri portanti, come quando per realizzare un restauro dell’antico che ha qualche crepa si butta giù tutto.
Funziona così: arriva una nuova sperimentazione accompagnata da rullo di tamburi, un nuovo decreto ministeriale diffuso con tanto di conferenze stampa – novità epocali (sic!) – poi non si va certo a controllare che fine realmente abbiano fatto. Qualche esempio: l’obbligo del sei in tutte le materie per essere ammessi agli esami – la scuola del merito… - e poi la sufficienza si confeziona “tipograficamente” (un'espressione che devo rubare perché trovo molto efficace), dicono le rilevazioni statistiche in particolare qui al Sud dove c’è stato il maggior numero di "alunni bravi"; e ancora, oltre le cinquanta assenze bocciatura certa, salvo i seguenti casi: …(quelli è facile inventarseli) e ce ne sarebbero a migliaia di grande novità perse sulle carte.
Nella scuola della qualità le iscrizioni al liceo classico calano verticalmente, ho sentito dire da ragazzi intervistati nei tg: il latino e il greco non sono utili. Non dico certo che se lo avessero chiesto a me un bel po’ di anni fa, e prima degli studi, avrei mostrato un grande entusiasmo, avrei saputo bene delle difficoltà dell’impegno che mi attendevano; i ragazzi oggi, però, hanno un’idea dell’utile che attiene al concetto di utile economico e questo è il primo vero problema e l’altro è che siamo stati noi ad averglielo passato. L’utilità del latino e del greco è un’altra cosa, si dice – e io ne son certa – che tradurre una versione di latino o di greco sia come risolvere un problema algebrico, sviluppano entrambi ragionamento e competenze logiche. E non solo, i poemi omerici e l’ Eneide hanno detto tutto dell’uomo, proprio come i filosofi classici, dopo di loro filosofi e poeti e scrittori son vissuti di rendita, nani sulle spalle di giganti. Ma a chi interessa più avere larghi orizzonti? Viviamo in un mondo che ha messo al primo posto l’individualismo e l’egoismo. Siamo in un mondo di nani, e basta! E io sono una passatista conservatrice. Il light – così hanno ribattezzato l’indirizzo dello scientifico senza il latino - che ai ragazzi si fa credere sia il progresso è un’informazione usa e getta che non prepara affatto al mondo del lavoro, non lo può fare intanto perché manca il lavoro, dunque il criterio di scelta che si basa sugli sbocchi professionali che la formazione scolastica offre è un inganno e non lo può fare perché, un solo esempio, si va raccontando che si punta alle competenze informatiche e si tagliano i docenti tecnico-pratici, l’informatica si imparerà prevalentemente dai libri. Davvero la realtà della scuola è altro da come viene rappresentata. Venga il ministro a scuola, anzi torni (mi si consenta questa digressione), chi sa che non impari l’uso corretto della locuzione avverbiale "piuttosto che" dal momento che anche lei ha ceduto all’infelice moda lessicale di usarla come locuzione disgiuntiva e non per quello che è: una locuzione esclusivamente comparativa, gliel’ho sentito fare proprio nella conferenza stampa nella quale presentava le novità del nuovo anno scolastico: [...]abbiamo voluto la sperimentazione di una nuova materia “Cittadinanza e Costituzione”[ ma questo merita un discorso a parte], piuttosto che l’aumento delle ore di lingua straniera, piuttosto che maggiori conoscenze e competenze informatiche. Devo proprio dirlo, è inaccettabile da un ministro dell’istruzione.