lunedì 6 giugno 2011



150 anni. Nascita e declino della Scuola pubblica di Tony Tundo

(la foto è il logo - con una formula freudianamente rivelatrice - che il MIUR ha scelto per il progetto "Costituzione e Cittadinanza a scuola nel Salento". Il progetto è fallito, come tutto).


Il graduale svilirsi della funzione della scuola in questi ultimi anni ha raggiunto punte di gravità delle cui ricadute evidentemente nessuno prende davvero atto. Là dove c’era preoccupazione, poi disillusione, ora è solo rassegnazione. Dal momento che questo è l’anno dei bilanci, se volessimo riflettere sul lascito che l’Unificazione italiana prima, la Carta Costituzionale poi hanno dato agli italiani non potremmo prescindere dalla priorità del valore della cultura che è il distintivo identitario di una nazione come la nostra che, attraverso un percorso storico tormentato, ha raggiunto una dimensione di libertà che dovrebbe trovare il suo presidio nella scuola, prima e più che in ogni altra istituzione. E la scuola è fatta di docenti e studenti, protagonisti indispensabili – piaccia o no - dell’identità e dei mutamenti storici; essi dovrebbero essere la ricchezza della società e sentire con orgoglio la responsabilità di raccordare l’identità ricevuta al presente e rinnovarla. Se glielo lasciassero fare. Se non fossero stati ingannati, tutti, docenti e studenti. Se non fossero stati ricattati. Se è vero che affrancare il popolo italiano da una condizione subalterna era il primo patto da onorare nel rispetto della Costituzione italiana del ‘48 e se è vero che la civiltà rurale aveva il diritto sacrosanto di aprirsi alla modernità, è ancor più vero che dalla svolta democratica (i decreti delegati) degli anni ’70 il rinnovamento è stato solo di facciata, quasi sempre ambiguo e contraddittorio; la scuola non più censitaria ma di tutti doveva coniugare la scolarizzazione alla valorizzazione delle risorse del territorio da quelle agricole a quelle artigianali, far emergere i talenti, sottraendo la formazione scolastica al monopolio dei figli di papà ma tenendo intatta la sua dignità, non snaturandola; il diritto allo studio non doveva confondersi col diritto al diploma, con l’omologazione verso il basso, pena la contrazione delle cattedre, la perdita di posto di lavoro per gli insegnanti, un ricatto sottaciuto ma reale. Francamente uno squallore! Possono stare insieme due cose concettualmente inconciliabili: anarchia e dittatura? A scuola sì! Difficile dire come possa accadere, ma è così, esse convivono anzi sono complementari e funzionali al sistema dirigista: bisogna fare gli italiani.
Banditi definitivamente i fatti, persi di vista gli obiettivi concreti, oggi si fa un abuso anche offensivo delle parole: merito… qualità… La qualità viene misurata con i cosiddetti test INVALSI (acronimo che sta per Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione), più adatti a prodotti industriali che a persone, d’altra parte la scuola si è trasformata in scuola-azienda che sforna marchi di qualità di dubbia origine e altrettanto dubbia fine: gli studenti migliori emigrano all’estero, la fuga dei cervelli continua, il sogno americano continua. Il Ministero, che raccontano il più confuso fra i ministeri, è senza incertezze: Lui la qualità delle scuole la misura dai quadri (le valutazioni) finali: la scuola che promuove di più è quella che funziona meglio; il docente migliore è quello più generoso nei voti. E tutto va tradotto in denaro. Da qui la corsa a dare pagelle di nove e dieci, terminati gli esami di maturità saranno i quotidiani locali e nazionali a stabilire le classifiche, a dare le pagelle alle scuole italiane: si chiama orientamento scolastico. E tutto va tradotto in denaro. Chi c’ha messo passione, c’ha investito nella scuola non sa più qual è il suo mandato, al pensiero che gli si chiede di formare la classe dirigente del futuro, per salvarsi da sensi di colpa e impotenza, si difende con l’indifferenza.