sabato 18 giugno 2011

Lunga vita a Franca Valeri, incantevole reticente.di Tony Tundo

“ A vent’anni era affondare il fascismo,
a trenta avere in pugno il teatro,
a quaranta tutto,
a cinquanta occhiali e quasi tutto, e…eccomi."

Le autobiografie forse sono costruite, ma Franca Valeri batte sul tempo eventuali critiche e ne parla, nelle ultime pagine del suo libro: Bugiarda no, reticente. La definiva così la madre ed è ancora la sintesi della sua personalità, tanto più oggi: si dovrebbe insegnare La Reticenza.
"La ma vita raccontata sembra un quadro clinico, non esattamente il mio. Sconfino spesso in zone che non mi appartengono. O forse no: noi in famiglia abbiamo sempre avuto un senso della proprietà molto particolare, ci piace la nostra roba, non quella degli altri, se sconfino vuol dire che è ancora zona mia".Passare attraverso il Novecento di Franca Valeri più che una lettura è un breve viaggio, perché il racconto del suo tempo si intreccia ai tempi della cultura, della moda, della storia e del costume e del loro graduale svuotarsi e il lettore non può non essere sedotto da una intelligenza strepitosa, da un’ironia tanto raffinata quanto graffiante, ma soprattutto da una sintesi magistrale: “a vent’anni era affondare il fascismo, a trenta avere in pugno il teatro, a quaranta tutto, a cinquanta occhiali e quasi tutto, e…eccomi”.E la storia privata di un donna (totale nell'amore una meravigliosa disgrazia che ti colpisce tra capo e collo, e sempre tradita - fatale! - ; amica per affinità elettive, innamorata dei suoi sei cani) ti conduce in un percorso che incrocia sfiorandoli appena - non è un libro, sono appunti in ordine sparso intensi e godibili allo stesso tempo - i tragici eventi storici del '900 (la guerra, le leggi razziali, la Liberazione) e il declino dei valori una delle tante parole/cose che la troppa retorica ha insterilito che la Valeri con determinazione condanna “la nostra freddezza ha favorito la maleducazione”; “le donne e i loro mentori si configurano un bisogno di libertà che le cancella dalla storia della bellezza”; ”non farei mai l’insegnante, ma se fossi condannata a farlo, direi - Fate soltanto quello che siete capaci di fare - ” “il ventesimo secolo ha dato molto alle arti compensando con eleganza i disastri che ha fatto altrove; ma la quantità di calamità che ha messo insieme nei suoi primi dieci anni assomiglia alle feroci bizze di un bambino viziato, spero di vivere abbastanza per vederlo rinsavire”.Nata in un’agiata famiglia borghese di origini ebree, ha avuto un’adolescenza, in fondo, fortunata o, più correttamente, la fortuna di essere stata educata all’onestà, al rigore, naturalmente all’antifascismo, alla volontà e alla libertà, e l’ironia, eredità del padre ebreo, vocazione e, insieme, esercizio di sopravvivenza. Racconta con pudore - e limpidezza disarmante - che lei a Piazzale Loreto ci volle andare: volevo vedere!Nei suoi personaggi, oggi nella leggenda dello spettacolo, ha dato forma alla Signorina Snob, indifferente al prossimo, imbecille, sola, e priva di passioni “Se si fosse trovata la passione fra le mani, sarebbe corsa a lavarsele”. E alla sora Cecioni, versione caricaturale romana e ancor più popolare – forse ispirazione e archetipo - della casalinga di Voghera di cui molti intellettuali rivendicano la paternità. Ha fustigato la mediocrità e la viltà, lei coraggiosa, intelligente e libera come solo le donne, poche certo, ma solo le donne sanno essere. Non è, o non sembra, una donna serena (troppo intelligente!), ma possiede quella sua impareggiabile raffinata ironia, cifra dei grandi. Ha scelto il nome d’arte Valeri come omaggio a Paul Valery di cui deve aver assorbito la leggerezza. Parafrasando Paul Valéry “Il faut être léger comme l’oiseau et non comme la plume” (bisogna essere leggeri come l’uccello e non come la piuma”), si gusta nella scrittura - pur amara - della Valeri un’eleganza composta, ma con corpo e anima che ne fa un modello di precisione e determinazione.
Un inno alla libertà e all’intelligenza: la signora Valeri soffre della sindrome di Parkinson, ma non ha permesso alla sua malattia di condizionare la qualità della vita (in questi mesi è stata in tournée). Molti stanno scrivendo di lei, in particolare dall’estate scorsa perché ha compiuto novant’anni e - per una forma di rispetto, forse – non parlano della sua malattia. Eppure la sua grandezza è proprio in questo, la luminosità che l'età e gli evidenti segni della malattia non hanno ingrigito: per le donne - in particolare nell'ambiente dello spettacolo - i capelli bianchi, le rughe e ogni altro segno dell’età sono muraglie e, in forme diverse, provano a difendersene, spesso con risultati goffi e omologanti; lei no, la sua sfolgorante intelligenza è il suo charme senza tempo, senza handicap.Racconta nella sua autobiografia che in una sua celebre commedia fa dire a Santippe che quando ha compreso che per capire Socrate doveva usare il cervello, si è accorta che il suo cervello era più svelto delle gambe. Una lezione di stile, oggi che assistiamo alla banalizzazione nevrotica - se non strumentale - del femminile.
Aldo Grasso ha scritto nei giorni scorsi che la TV dovrebbe dedicarle una serata; no, non in questa televisione, a lei che ha conosciuto Sartre e Chaplin anche il teatro di questi tempi sta stretto, la televisione poi…